Proseguiamo i nostri articoli che rispondono a questa domanda: qual è il punto di equilibrio tra le esigenze del dire quello che la coscienza ci impone in merito all’attuale situazione ecclesiale e il bene della Chiesa stessa?
Dopo il contributo del prof. Giacomo Baroffio, oggi ospitiamo il teologo domenicano padre Giovanni Cavalcoli che ci offre il suo punto di vista.
Capita di frequente fra noi cattolici di notare dietro informazione dei media o per informazione di amici o per conoscenza diretta, in certi interventi, iniziative, atteggiamenti morali, idee, prese di posizione o scelte pastorali di altri cattolici o sedicenti o considerati cattolici, nonché di sacerdoti, religiosi, teologi, Vescovi, Cardinali o dello stesso Papa, i quali ci sorprendono, ci meravigliano, ci turbano, ci scandalizzano. Ci fanno domandare: ma sarà proprio vero? Come è possibile? Ma che cattolici sono? A volte, ci sentiamo mossi a sdegno e comunque dispiaciuti. Il diavolo ci tenta gettando il dubbio circa le nostre convinzioni di cattolici.
In queste situazioni emerge quasi sempre la questione del significato dell’essere cattolico. Su cosa si fonda l’essere cattolico? Quali sono i requisiti essenziali dell’essere cattolico? Come mai quei pastori o teologi che dovrebbero confermarci nella fede, sono i primi loro a mettercela in crisi? Non c’è più differenza fra cattolicesimo e luteranesimo? Rahner è cattolico?
Ma Pio X non aveva condannato i modernisti? E come mai oggi sono più che mai vivi e vegeti col pretesto del rinnovamento conciliare? Quali sono, inoltre, i gradi di gravità dell’allontanarsi dall’essere cattolico? La disobbedienza? Lo scisma? L’errore? L’eresia? La bestemmia? L’apostasia?
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