L’ottimismo spurio, con cui si guarda al declino della fede, all’apostasia sociale, alla diserzione del culto e alla depravazione morale, nasce da una falsa teodicea.
Si dice che la crisi è un bene, perché obbliga la Chiesa a una presa di coscienza e a ricercare una soluzione. In queste asserzioni è implicita la pelagiana negazione del male.
Se è vero che i mali occasionano dei beni, essi restano però reduplicative dei mali e non causano come tali alcun bene. La guarigione è indubitatamente un bene, relativo alla malattia e da essa condizionato, ma non è un bene inerente ad essa, né ha la sua causa nella malattia.
La filosofia cattolica non ha mai fatto tale confusione e san Tommaso (Summa theol., I, II, q. 20, a. 5) insegna che «eventus sequens non facit actum malum, qui erat bonus, nec bonum, qui erat malus». Soltanto per l’abito mentale del circiterismo proprio del nostro secolo si può stimare positiva la crisi, badando agli eventi buoni che siano per conseguirne. I quali appunto, come si esprime avvertitamente san Tommaso, non sono effetti del male, a cui non appartengono che difetti, bensì puramente eventi. Questi eventi sono effetti di altre cause che del male. Le cause di eventuali conseguenze buone della crisi non stanno nella linea causale della crisi, che è soltanto crisi, ma in un’altra linea di causalità.
Qui è ovviamente implicata tutta la metafisica del male nella quale non ci appartiene di internarci, ma è importante ribattere, contro l’ottimismo spurio, che se alla crisi si legano eventi felici, come alla persecuzione il martirio, al patimento l’ammaestramento (Eschilo), alla prova l’aumento del merito, all’eresia la chiarificazione della verità, l’evento non è un effetto, ma un plus di bene di cui il male è per sé incapace.
Attribuire alla crisi il bene, che è estrinseco alla crisi e proviene da altro che dalla crisi, suppone un concetto manchevole dell’ordine provvidenziale. In questo infatti bene e male restano ciascuno con la sua intrinseca essenza (essere e nonessere, efficienza e deficienza) ma rientrano in un sistema buono. Buono è il sistema, non i mali entranti nel sistema, sebbene si possa allora per catacresi chiamarli mali buoni, come fa il Tommaseo. Questa veduta dell’ordine provvidenziale fa vedere come «al mondo di su quel di giù torni» (Par., IX, 108), cioè come anche lo sviarsi della creatura dall’ordine (e persino la dannazione) la Provvidenza lo faccia tornare nell’ordine finale, quello che costituisce il fine ultimo dell’universo, la gloria di Dio e degli eletti.