Nell’autunno 1959 sono arrivato a Köln, dove avrei frequentato per sei semestri l’Università. In quel periodo ho avuto occasione di sentire parlare del prof. Joseph Ratzinger, quasi sempre in relazione con il Concilio vaticano II. Egli era, infatti, l’esperto consigliere teologo del cardinale arcivescovo Joseph Frings († 1978).
Ho visto JR la prima volta a Münster Wf. Con un mio compagno stavamo andando a piedi quando da lontano si avvicinava un sacerdote in bicicletta. Quando fu vicino, l’amico sventolò il braccio destro e il prete ricambiò il saluto con un sorriso e un intenso Grüß Gott!
Don Wilhelm Nyssen, il responsabile degli studenti cattolici a Köln, ci segnalava ogni tanto qualche lettura del teologo, allora docente a Bonn. Entrambi erano discepoli di Agostino e Bonaventura; entrambi sapevano accendere un vivo interesse per la Parola del Vangelo, la vita liturgica, gli insegnamenti dei Padri della Chiesa.
Nel semestre 1963-64 ero libero dalla frequenza delle lezioni. Per occupare il tempo mi sono iscritto a Bonn, scegliendo alcune lezioni che trovavo interessanti: Martin Noth (Storia d’Israel), Heinrich Schlier(Lettera ai Romani), Theodor Klauser (Liturgia cattolica). E poi, in fine ma certo non ultimo, Joseph Ratzinger (Filosofia della religione dell’Induismo)!
Alla sera dell’ultimo giorno di lezione prima di Natale, JR ha tenuto una conferenza aperta a tutti sul Concilio in corso. Era stata appena approvata in Vaticano la Costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium.JR ha tracciato l’itinerario affrontato nella basilica di San Pietro e giunto a una tappa fondamentale nella storia della Chiesa.
JR iniziò con una battuta che qualcuno non gradì. Chiamò i Padri conciliari con un’espressione ironica Väterchen (padrini), affermando che i poveretti erano stati condotti dallo Spirito Santo a votare quanto in realtà molti di loro non avevano affatto compreso. La liturgia non era una disciplina pedante di rubriche e prescrizioni varie. Era la vita della Chiesa. Dopo decenni di preparazione vissuti da vari movimenti ecclesiali, finalmente il Concilio aveva ristabilito un equilibrio che metteva al centro di ogni azione la Parola di D-i-o. La liturgia era stata riscoperta quale nucleo centrale della vita cristiana (culmen et fons) e questa prospettiva avrebbe cambiato l’impostazione di tutto il pensiero ecclesiale anche su altri argomenti. Nulla sarebbe stato come prima.
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Trascorre un po’ di tempo e seguendo vie del tutto diverse, ci ritroviamo a Roma, dove un collegamento con JR è favorito da un suo amico e mio superiore, Mons. Johannes Overath, preside del Pontificio Istituto di Musica Sacra.
Quando il giovedì mattina mi reco in Biblioteca Vaticana, in Piazza San Pietro incrocio JR. Si ferma, ci scambiamo un saluto e poche parole. Questi incontri minimali, ma di grande conforto per me, mi permettono di avvicinarlo in altre occasioni per parlare di argomenti ‘importanti’. Ricordo tre colloqui:
1] Quando un documento sulla musica sacra – destinato a essere pubblicato con l’autorità pontificia – fu stravolto e temetti che sarebbe finito male, portai tutto il materiale a JR che riuscì a bloccare la manipolazione.
2] Una volta mi sfogai dicendogli: “Non capisco proprio come i vescovi italiani non siano attenti al canto nella liturgia, se ne disinteressino completamente”. Risposta: “Il problema è molto più delicato. I vescovi italiani non hanno nessun interesse per la liturgia. È quindi naturale che ignorino il canto”. “Scusi, ma perché non va a dirlo all’Assemblea della CEI?”. Fece un grande sospiro, più eloquente di tanti discorsi.
3] Un giorno gli accennai a un diverbio che da mesi avevo con un cardinale su questioni amministrative. “Purtroppo Lei sa bene che quello è un personaggio losco”. “Sì, noi lo sappiamo, ma il papa è al corrente?”. Altro sospiro come risposta.
Spesso ho pensato ai sospiri di JR e a ciò che alcuni hanno definito timidezza, pusillanimità. Sono invece convinto che deliberatamente abbia evitato di forzare certe situazioni per non peggiorarle. La ‘mafia’ nella Chiesa è potente, amorale, cinica contro cui c’è poco da fare. A meno che non si prendano decisioni estreme e si agisca come papa Giovanni quando ha annunciato il Concilio. Ad esempio, nella tragica commedia intorno allo IOR, l’unica soluzione sarebbe la chiusura totale e perpetua e dello stesso IOR e dell’APSA straordinaria.
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Joseph Ratzinger aveva una fortezza spirituale e psichica eccezionale. Era consapevole dei propri limiti e sapeva risparmiare le energie per decisioni di una gravità straordinaria, come quella della rinuncia. Energie impiegate con un’illimitata generosità nella ruminazione della Parola, nella riflessione teologica, nello studio. Non per accumulare nozioni, bensì per illuminare il cammino travagliato e a zig zag della Chiesa.
Di questa vita di donazione a D-i-o e ai fratelli vicini e lontani, siamo gli ultimi testimoni. A ciascuno spetta raccogliere l’esempio e il messaggio ut in omnibus glorificetur Deus.