Viviamo in un tempo in cui ci sembra necessario dimenticare i fondamenti tradizionali su cui la nostra civiltà è stata costruita. Uno di questi fondamenti riguarda il peccato originale, la colpa che dai progenitori noi continuiamo a scontare.
In un sonetto del 25 aprile 1846 chiamato La faccia de la luna, il Belli offre questa visione:
Ma llassù nne la luna, sor Martino,
Che ccos'è cquela faccia grassottella
Che ppare che cce facci capoccella?
— Quella? e nun è la faccia de Caino? —
Come! la faccia de Caino è cquella? —
Ggià: er Ziggnore je diede quer distino
Perché ammazzò er fratello piccinino
E sse prese pe mmojje una sorella.
— E sta llì ssempr'all'acqua, ar zole e ar vento?
— Ggià: inzinent'ar giudizzi' univerzale
Ha da stà ffora, senz'annà mmai drento.
— E pperché ffa ccescé? — Ppe ddà un zeggnale
A nnoi, che cciaricordi oggni momento
La corpa der peccat'origginale.
L’idea che Caino fosse sulla luna era credenza popolare e la ritroviamo anche nella Divina Commedia, nel ventesimo canto dell’inferno:
Ma vienne omai, ché già tiene ’l confine
d’amendue li emisperi e tocca l’onda
sotto Sobilia Caino e le spine;
“Caino e le spine” indicava, appunto, la luna.
Il Belli interpreta questa credenza popolare come il segno che Dio ci lascia per rammentarci del peccato originale. In effetti avremmo bisogno di essere sempre rammemorati della nostra condizione per non dovercene poi pentire. In Belli, come detto, vicino all’anticlericalismo contro il governo pontificio viene fuori spesso una profonda religiosità.