Credo di aver detto molte volte che chi ama la tradizione non è un adoratore del passato. È vero che alcuni storicizzano la tradizione, abbiamo visto Augusto Vera che nella sua Introduzione alla filosofia della storia (1869) tra l’altro dichiarava: “La tradizione ci trasmette e ci fa pensare il passato. Ciò basta per mostrare che se da un lato la tradizione fa parte della storia, da un altro lato la storia è la negazione successiva e perenne della tradizione. La storia di fatto, mentre ammette la tradizione, la nega, perchè la riconosce incompiuta ed imperfetta; la considera come un qualcosa cui bisogna sempre aggiungere nuovi elementi. Perché tale è la storia: la storia è moto e svolgimento; il che significa che in ogni istante sorgono nuovi bisogni, nuovi interessi, nuove istituzioni e nuovi pensieri. Di modo che la tradizione, considerata come un puro complesso di fatti nel senso il più largo e da un dato punto ove la storia è giunta, può essere ancor meno il principio motore della storia, perchè questa é al di fuori e al disopra della tradizione. Adunque, senza negare l'influenza e l'azione che la tradizione può esercitare sul corso degli avvenimenti e sulla costruzione dell'organismo sociale; senza negare che essa è un elemento integrante della storia, noi dobbiamo ritenere che, siccome al di sopra di essa vi ha un qualcosa che la spiega e la fa e per ciò stesso la modifica e la rinnova, così non è essa, ma è questo qualcosa che costituisce il principio determinante della storia”. Questo predominio della storia che Vera identifica, da buon hegeliano, noi non lo accettiamo e dichiariamo la tradizione nella storia ma non della storia. Questo perché, come detto, la tradizione nin riguarda tanto il passato quanto il futuro.
Lo aveva probabilmente ben capito il filosofo Gustave Thibon (1903-2001). Scrive di lui Emiliano Fumaneri su La nuova bussola quotidiana: “Procurare la morte rappresenta la vera vocazione dell’idolatria: la sete di sangue divora l'idolo, mentre l’odio viscerale per l’Essere lo vota al nulla e alla menzogna. Per il Socrate cristiano vivente in Thibon l'autentico spirito filosofico consiste invece «nel preferire alle menzogne che fanno vivere le verità che fanno morire» (L'ignorance étoilée, Fayard, 1985, p. 45). Thibon fa dunque idealmente suo il detto di Tolkien: "le radici profonde non gelano". Così è delle verità più semplici e ordinarie: la profondità degli abissi appartiene al grande, immenso oceano della normalità. Piatta e superficiale è solo la terra calpestata dagli idoli. «Il thibonismo è una filosofia del buon senso», ha scritto Hervé Pasqua. La vera saggezza sta nell'essere fedeli tanto al "realismo della terra" quanto alle verità eterne del cielo, giacché «le cose supreme non fioriscono che al di là della tomba. Ma esse cominciano quaggiù e la loro fragile semenza è nei nostri cuori, e niente fiorisce nel cielo, che non sia prima germogliato sulla terra» (La scala di Giacobbe, AVE, 1947, p. 102)”. La saggezza del filosofo contadino, come viene conosciuto Thibon, va anche a toccare il tema della tradizione, e voglio presentare questa frase come esempio: “Che m'importa dunque il passato in quanto passato? Non vi accorgete che quando piango sulla rottura di una tradizione, è soprattutto all'avvenire che penso. Quando vedo marcire una radice, ho pietà dei fiori che seccheranno domani per mancanza di linfa”. Credo che questa frase dica in modo straordinario quella che è l’essenza della tradizione, è una nostalgia del futuro che non avremo.
Il tradizionalismo come attaccamento al passato per paura del futuro è una perversione della tradizione, si è tradizionali quando, al modo di Thibon, si piange su una tradizione interrotta perché questa scomparsa impoverirà fatalmente il nostro futuro e il futuro dei nostri figli. Non dimentichiamolo mai.