Augusto Vera (1813-1885) è stato un filosofo e un politico italiano.
“Augusto Vera è tradizionalmente ascritto dalla critica alla corrente ‘ortodossa’ degli hegeliani di Napoli, che vedrebbero invece in Bertrando Spaventa l’esponente più ‘originale’ in senso teoretico. Di fatto, tale lettura presenta molti elementi di veridicità, anche se la funzione di Vera resta fondamentale in quanto diffusore del pensiero hegeliano, e in genere di quello idealistico classico tedesco in Italia, nonché come punto di raccordo tra elementi della cultura italiana ed élites intellettuali di Paesi quali Germania e, soprattutto, Francia e Inghilterra. I numerosi riconoscimenti, italiani ed esteri, raccolti da Vera nelle varie fasi della sua attività certificano la fama di cui godette come divulgatore e come pensatore agli occhi dei suoi contemporanei”(Jonathan Salina 2020).
Riproduciamo un passaggio dal suo “Introduzione alla filosofia della storia” (1869).
L'uomo, nascendo, fin dalla culla diviene parte dell'universo, e fra lui e il tutto si stabilisce un'intima relazione, una continua azione e reazione. Questa influenza e quest'azione dell'universo sull'uomo, sia individuale sia collettivo , è quella che stimola le sue varie facoltà e determina lo sviluppo della sua potenzialità o, ciò che torna lo stesso, fa la sua educazione. L'educazione, intesa in un senso largo, è appunto lo svolgimento di ciò che è potenziale e allo stato di germe nello spirito. Tutto contribuisce a quest'azione diretta e continua su di noi; ma uno degli stimoli più potenti e che s'impossessa di tutte le nostre facoltà, del nostro essere intero, è la tradizione.
Cosa è la tradizione, e quale importanza ha relativamente alla storia?
La tradizione, si può dire, è la società intera con tutto ció che la compone, i suoi istinti, i suoi interessi, i suoi bisogni, le sue istituzioni, la sua lingua. Noi riceviamo la tradizione, ancora bambini, dalla nutrice, da' parenti, dalla famiglia. Poi fanciulli la riceviamo nella scuola. E più tardi, cessato l'insegnamento della fanciullezza, noi riceviamo la tradizione del pensiero e della verità per mezzo della società, nel cui seno viviamo. E questa continua l'insegnamento tradizionale fino a che dura la nostra vita. Di qui già si può scorgere quanto la tradizione entri profondamente nella vita di un popolo, perchè tutti viviamo nella tradizione, nè al suo influsso è dato sottrarci . Essa in qualche modo ci fa ciò che siamo, perchè è come un etere che invade e penetra il nostro spirito per ogni verso.
Nella tradizione noi dobbiamo distinguere un doppio elemento e come a dire un doppio insegnamento ch'essa ci porge; un insegnamento locale o nazionale, ed un insegnamento universale o umanitario .
Quanto all'insegnamento nazionale noi dobbiamo partire dal principio che la società non è un ente accidentale o fortuito ; e che l'uomo è un ente socievole o fatto per la società .
Il selvaggio stesso vive in una certa società, benchè informe e rudimentaria; passa, cioè, la vita in certe relazioni. La parola, supponendo certi elementi materiali come la bocca e gli altri organi vocali, che si collegano all’organismo intero, ci dice che la stessa costituzione fisica e materiale dell'uomo ha per fine la società. Ma poi basta osservare i suoi vari bisogni fisici e morali per riconoscere che la vita sociale soltanto è il mezzo per poterli soddisfare, e che fuori di questa lo spirito non può svilupparsi. Adunque se la società è tanto all'uomo essenziale, e se è vero che la tradizione è il complesso de' vari elementi di cui una società si compone, è chiaro che la tradizione ci dà un insegnamento locale, nazionale o sociale. Ma per ciò stesso essa ci rende altresì un insegnamento umanitario. E di fatto noi non dobbiamo considerare una nazione che nasce o si forma, ma una nazione ch'è giunta a un certo grado di sviluppo, a quel grado precisamente che costituisce la vita sociale, siccome quando, ragionando dell'uomo, noi ci riferiamo all'uomo maturo e che ha già sviluppato le sue facoltà, e non all’uomo primitivo e selvaggio. Ora in una nazione cosiffatta noi troviamo fra le altre cose l’arte, la religione, la scienza. Ed un'arte, una religione, una scienza, per quanto si vogliano supporre nazionali e rivestite di caratteri locali, presentano sempre certi aspetti che trascendono i limiti della nazionalità ed entrano nella sfera dell'umanità. Di maniera che quando consideriamo i lavori dell'arte greca e la religione greca, noi vi troviamo lo spirito greco ed insieme lo spirito universale e umanitario. Cosi, per esempio, in Sofocle ed Edipo vi è un aspetto, un lato umanitario, pel quale essi appartengono a tutti i tempi e a tutti i luoghi. Da ciò risulta che la società che ci educa o, sotto altra forma, la tradizione che ci nudrisce, trasmettendoci e comunicandoci il passato, mentre c'insegna le istituzioni locali, nello stesso tempo c'innalza in una sfera superiore alla nazionalità. E questo mostra sempre più come e quanto la tradizione penetri nella storia e faccia parte della storia.
È solo però dalla esagerazione dell' importanza della tradizione che ha potuto sorgere in Francia una scuola, capitanata da Bonald, che ha preteso la tradizione essere il principio determinante della storia.
Innanzitutto la tradizione è un fatto, un semplice effetto e non una causa. Considerando una società in uno stadio qualunque della sua esistenza, noi vedremo che essa possiede un corpo di dottrine tradizionali politiche, civili, religiose o scientifiche, le quali esistono, sono ricevute e costituiscono quasi il patrimonio attuale dello spirito di questa società. Noi vediamo il fatto della loro esistenza; ma possiamo domandare donde è che queste dottrine son venute? Supponiamo che fossero state rivelate fosse pure per mezzo dell'insegnamento, ch'è una specie di rivelazione. Ma colui che insegnava, uomo o Dio che fosse, doveva pensare, e colui che riceveva l'insegnamento doveva pur pensare, perchè se si toglie il pensiero all'uno o all'altro, l'insegnamento è impossibile, e si recide la radice stessa della tradizione. Se essi pensavano ciò che era insegnato, è evidente che la fonte vera della tradizione è il pensiero , o, in altri termini, la tradizione suppone un movente superiore; e questo è il pensiero. Epperò la tradizione per sè è un principio insufficiente: essa, considerata nella sua genesi, è soggetta ad un principio superiore, e, come tale, non è essa che può spiegare la storia.
Ma vi ha di più. La tradizione ci trasmette e ci fa pensare il passato. Ciò basta per mostrare che se da un lato la tradizione fa parte della storia, da un altro lato la storia è la negazione successiva e perenne della tradizione. La storia di fatto, mentre ammette la tradizione, la nega, perchè la riconosce incompiuta ed imperfetta; la considera come un qualcosa cui bisogna sempre aggiungere nuovi elementi. Perché tale è la storia: la storia è moto e svolgimento; il che significa che in ogni istante sorgono nuovi bisogni, nuovi interessi, nuove istituzioni e nuovi pensieri. Di modo che la tradizione, considerata come un puro complesso di fatti nel senso il più largo e da un dato punto ove la storia è giunta, può essere ancor meno il principio motore della storia, perchè questa é al di fuori e al disopra della tradizione.
Adunque, senza negare l'influenza e l'azione che la tradizione può esercitare sul corso degli avvenimenti e sulla costruzione dell'organismo sociale; senza negare che essa è un elemento integrante della storia, noi dobbiamo ritenere che, siccome al di sopra di essa vi ha un qualcosa che la spiega e la fa e per ciò stesso la modifica e la rinnova, così non è essa, ma è questo qualcosa che costituisce il principio determinante della storia.