Caro M°, come promesso, le invio le mie note apposte al suo intervento “In morte di una giovane ragazza”, precisamente Darya Dugina, vittima di un attentato terroristico, figlia dell’intellettuale russo, Aleksandr Dugin, noto come un ‘tradizionalista'.
Prima di passare a questa, che è la prima riserva che mi permetto di calare, debbo spiegarmi sul concetto di Tradizione e concludere di conseguenza.
Per Tradizione, in senso generale, io intendo l’insieme di usi, costumi, scienza, modi di vita, complessi culturali che, trasmessi per generazioni successive, caratterizzano una famiglia, una città una nazione e la considero come una duplice entità: tradizione (umana) e Tradizione (divina).
La prima, in quanto umana vincolata dal tempo e, perciò, immanentistica, esprime segmenti temporali durante i quali vengono mantenuti usi e costumi che son detti “tradizionali” fin quando non verranno sostituiti da altri segmenti a causa del mutar delle situazioni storico-culturali (Par. XVI, 76/81). Pertanto, la tradizione, o meglio ancora, le tradizioni umane, in quanto prodotto dei tempi, non possedendo un “corpus” omogeneo, stabile, un ‘unicum’, esprimono un valore relativo a un periodo, e tuttavia consentanee ad essere studiate con lo scopo di rendere comprensibili i punti di mutazione onde approntarne un quadro evolutivo in cui leggere una linea genetica unificante. Parlo, allora, di tradizioni locali, regionali, nazionali che, come si è detto poc’anzi, permangono fintanto che una successiva situazione culturale non le accantoni a pro’ di altre nuove. Gli spettacoli che, oggigiorno, rievocano scenari in costumi antichi – quintane, processioni, cavalcate, accademie, giostre – dimostrano il tentativo di ‘ri-produrre’, in termini di rivissuto, ciò che appartiene a un’epoca le cui coordinate storiche valgono in relazione al tempo loro. Il lato particolare di tali rievocazioni è l’intenzione di renderle “tradizione” come il “Palio di Siena” la cui ricorrente edizione è diventata “tradizionale”.
Quella divina, in quanto atemporale, e perciò, metafisica, è la vera Tradizione connotata come eterna, stabile ed immutabile.Essa è quella della Chiesa Cattolica, l’unica custode dell’unico e vero Depositum Fidei. Ciò che era, è, - Alfa e Omega - non soggetto a mutamenti, così come ogni dogma della sua dottrina. Il Nuovo Catechismo approfondisce in modo esaustivo il concetto di Tradizione in rapporto con il mondo, con il singolo, con la Scrittura, con la Storia. Siffatta configurazione non è altro che la presenza di Dio nella storia dell’uomo che solo in tal modo – nell’unità del Corpo Mistico - ne viene coinvolto come parte attiva. Presenza di Dio che altro non è che Storia di Dio. Alla luce di questa verità, configurato Dugin un “sincero cristiano ortodosso” (A. Gnocchi – Ricognizioni 24 agosto 2022), perciò, fuori dall’unità cattolica, io ritengo corretto definirlo, con quanti come lui, etnologo e/o antropologo - sia pure di massimo profilo – tradizionalista, come lei lo ha scritto col segno minuscolo, studioso atteso alle vicende umane, cioè alle tradizioni terrene. Ora, siccome Dugin è, in realtà, un neo-pagano, uno gnostico, che odia la Chiesa Cattolica vista come un nemico da abbattere, in ciò coadiuvato dalla Chiesa ortodossa, eretica e scismatica, chiedo: è lecito a un cattolico aderire a siffatto pensiero e ritenere l’autore in questione come positivo modello culturale? Domanda retorica dacché la risposta è già pronta: chi non è con Cristo è contro di Lui (Mt. 12, 30).
E lo chiedo anche perché, nel suo intervento, lei accosta alla giovane Darya, per due volte, la figura di santa Teresa di Gesù Bambino; la prima in funzione del concetto di morte e la seconda quale augurio di beatitudine eterna. Ora, il Signore Iddio scruta le coscienze e sa Lui come giudicare - ragion per cui me ne guardo bene - ma, in quanto ortodossa eretica e scismatica – fuori, cioè, dall’unità “cum Ecclesia” - ed in più, esemplare discepola del padre, c’è da sperare che non sia scattato il monito di Cristo che parla dei tralci recisi e secchi destinati ad essere bruciati (Gv. 15, 1/8). Il santo curato d’Ars, ad un anglicano che gli prospettava come certa la salvezza di entrambi, per via della comune fede in Cristo, replicò dicendo che l’albero dove casca resta, così è la sorte di chi vive una fede “cristiana” fuori dall’unità con la Chiesa Cattolica, da considerarsi pagano e, perciò, destinato all’inferno(A. Monnin: Spirito del curato d’Ars- ed Ares 2009, pag.172/173). Non dico un alcunché di personale ma riferisco ciò che di dottrina immutata, tradizionale esprime la Chiesa.
In quanto al futuro, cioè, a quello che la giovane poteva essere, ritengo la sua commossa, augurale supposizione, comprensibile laddove scrive di donna ideale, amica indispensabile, intellettuale di punta ma non la seguo là, dove la pensa come colei che avrebbe asciugato ‘qualche’ lacrima perché ne avrebbe avuto di lavoro da svolgere dal momento che non si può staccare la sua complicità - e quella del padre – nell’aggressione all’Ucraina che è, ancora, causa di un oceano di lacrime.
Non mi sento di assentire, poi, a quel relativismo con cui lei liquida l’argomento delle vittime di guerra come facenti parte del gioco e di quello che noi siamo. Dissento perché, col predetto ragionamento, lei vuole evidenziare l’attentato, in cui la giovane ha perso la vita, come somma ingiuria, ingiustificato, gravissimo, fuori da ogni logica e perciò si domanda: “Si era in battaglia?”. Sì, le rispondo se è vero che Darya seguiva le orme del padre il quale, nel ruolo di ascoltato spin doctor, è da tutti ritenuto il consigliere di Putin e che, nella sua visione di una palingenesi finale si propone un triplice “uccidere, uccidere, uccidere”. La giovane, collegata nella catena delle responsabilità, sarebbe stata, in un ipotetico tribunale, giudicata colpevole di crimini di guerra e condannata. Lei sa che a Norimberga non furono processati e condannati soltanto i diretti responsabili ma anche alcuni esponenti della classe intellettuale colpevoli di aver sostenuto il regime nazista con le loro opere, come A. Rosenberg, J. Streicher, H. Fritzsche ed altri.
Heidegger, filosofo amato da Dugin, è la spiegazione di un ossimoro o antitesi che investe Dugin. Dico della campagna di delegittimazione con cui l’Ucraina fu descritta quale restauratrice del nazismo e, per questo, inquadrata e messa sotto mira da Dugin poi – è cronaca corrente – da Putin aggredita, invasa e distrutta. L’ossimoro sta nell’amore del prof. Aleksandr per un filosofo il cui pensiero esaltò, e fece suo, il nazismo. Ora, non pare contraddizione in termini siffatta circostanza? Combattere il nazismo ucraino nel nome di un pensatore che militò nel nazismo “tedesco”e che mai ebbe a scusarsene. Insomma, ci troviamo di fronte a un caso ridicolo se non fosse, invece, tragico, di una guerra scatenata allo scopo di cancellare una nazione e un popolo nazista, programmata da Aleksandr Dugin, professore comunista e filonazista, nel collaudato metodo del “chiodo scaccia chiodo”.Per siffatto ossimoro ritengo Dugin, un pericoloso pasticcione che, lungi dall’essere considerato un ‘pensatore’ di formidabile idealità, altro non è che uno dei tanti Dulcamara che girano per il mondo proponendo ed elargendo panacee le quali, a differenza del ‘bordeaux’ donizettiano elisir da osteria, sono mortali, apocalittiche miscele incendiarie.
Ma niente di strano ché, comunismo e nazismo sono fratelli dizigoti, nati dal materialismo storico-dialettico di papà Hegel.
Concludo con una breve riflessione laddove lei, giustamente,afferma essere di Dio il dominio sulla nostra vita e sulla nostra morte e non di quanti pensano di sostituirlo. Orbene, ciò valga monito e condanna a chi, come V. Putin, in piena consonanza con la cultura di morte del suo consigliere, recide la vita di bambini in grembo – vedi i bombardamenti di cliniche ginecologiche – di scolaretti, di donne, di giovani, di vecchi. Ulteriore antitesi di unapolitica – quella russa – che, mentre vieta l’aborto, non si perita dal procedere nell’opera di pulizia etnica.