Come tutti sappiamo, la pena della scomunica inflitta dalla Chiesa è la massima pena canonica per un credente e lo mette al di fuori della comunione con la stessa istituzione in quanto, secondo il giudizio dell’autorità, si macchia di colpe che attentano all’integrità della dottrina e all’unità del corpo ecclesiale. Nelle opere di sant’Antonino leggiamo:
“excommunicatus est separatus a septem bonis. 1) A coelo; 2) Ab omni Sacramento; 3) Ab ecclesiae suffragio; 4) A divino officio; 5) A fidelium consortio; 6) A quolibet actu; 7) A fidelium sepulcro” (in Gaetano Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, Vol. 72, 1853).
Il Moroni nella sua cospicua voce dedicata alla scomunica nel suo straordinario Dizionario, ci avverte come la scomunica fosse minore o maggiore, quest’ultima ovviamente da temersi maggiormente e come essa fosse anche distinta in latae sententiae (si incorre automaticamente nella pena quando si compiono gli atti per cui essa è stabilita) e ferendae sententiae che viene invece comminata da un giudice dopo un procedimento canonico.
Nel canone 1364 del Codice di Diritto Canonico viene detto che incorrono nella scomunica latae sententiae l’apostata, l’eretico e lo scismatico. E qui ci sarebbe veramente molto da dire, ma passiamo oltre.
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