Mi è rimasta impressa una cosa accaduta molti anni fa, quando caddero i regimi comunisti nell’Europa dell’Est. Il papa allora era il polacco Giovanni Paolo II, oggi canonizzato dalla Chiesa cattolica. Lui si era speso molto per la sua Polonia ma rimase amareggiato quando vide che una volta rimosse le restrizioni, i suoi connazionali si abbandonavano ad alcune delle tentazioni più estreme della civiltà capitalistica. Probabilmente a questo pensava il Papa polacco il 9 giugno 1991, durante la Messa al campo sportivo di Lubaczów, nella sua Polonia, quando durante l’omelia affermava:
“È più importante ciò che uno è che quanto possiede. Dio ci ha creati in modo tale che abbiamo bisogno di diverse cose. Ci sono delle cose indispensabili non solo per soddisfare i nostri più elementari bisogni, ma anche per saper condividerle reciprocamente, e costruire, con il loro aiuto, lo spazio del nostro “essere”. Il nostro Padre celeste sa bene che abbiamo bisogno di varie cose materiali. Però sappiamo cercarle e usarle in conformità alla sua volontà. I valori che si possono “avere”, mai debbono diventare il nostro fine ultimo. Il nostro Padre celeste li elargisce perché ci aiutino sempre più ad “essere”. Per questo anche le società povere vanno messe sull’avviso davanti all’errore degli atteggiamenti consumistici. Mai bisogna tendere ai beni materiali in questo modo, né in tale modo usarli, come se essi fossero fine a se stessi. Perciò la riforma economica che viene attuata nella nostra Patria dovrebbe essere accompagnata dalla crescita del senso sociale, da una sempre più generale sollecitudine per il bene comune, dal notare i più poveri e i più bisognosi, e anche dalla benevolenza verso gli stranieri, che vengono qui in cerca di pane. Specialmente oggi, nel periodo della riforma economica, mettiamoci in attento ascolto delle parole di Cristo Signore: “Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? . . . il Padre vostro celeste sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6, 31-33). Non siamo stati noi però dominati da ciò che è - nonostante tutto - meno importante? Non si faceva sentire e non continua questo a farsi sentire? Di quale sforzo abbiamo bisogno per ritrovare le giuste proporzioni in questo campo?”
Era una bella domanda. Una domanda che in effetti toccava un punto nevralgico del novecento, il rapporto tra religione e consumismo. Da tutto quello che abbiamo potuto osservare, e non solo in Polonia, l’avanzare del capitalismo e del consumismo si accompagna ad una disgregazione dell’ambiente religioso, una disgregazione comprensibile per il fatto che si oppone una civiltà della materia ad una civiltà dello spirito. Alcuni, in ambito protestante, hanno tentato un compromesso, come il popolare predicatore americano Joel Osteen, promotore di una “teologia della prosperità” per cui arricchirsi è un dono di Dio. Si badi bene, nessuno intende sostenere che il benessere vada demonizzato, ma non va esaltato come se questo dovesse essere lo scopo della tua vita. Dio non ci ha promesso la felicità in questo mondo, ma nell’altro. Se non si è ricchi non significa che si è lontani dal favore di Dio e tutta la spiritualità cristiana ha sempre avuto una visione abbastanza chiara a questo riguardo.
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