In molti stiamo seguendo la situazione che coinvolge mons. Carlo Maria Viganò, arcivescovo vescovo Italiano a processo da parte del Dicastero per la Dottrina della Fede con la pesante accusa di scisma.
Devo premettere che in passato ho avuto un rapporto molto cordiale con mons. Viganò di cui ho anche favorito la pubblicazione di alcuni libri. Poi purtroppo, non per mia scelta, il rapporto si è diradato, ma voglio naturalmente conservare quella buona memoria conseguente ai nostri scambi di e mail di qualche anno fa.
Quindi le mie considerazioni vogliono essere uno sguardo imparziale sulla situazione che si è venuta a creare.
Non credo che l’attenzione vaticana sia una grande sorpresa per mons. Viganò. Del resto le sue posizioni, dimostrate anche dalla risposta da lui diffusa, testimoniano di una radicalità nelle sue posizioni che difficilmente potrebbe favorire una riconciliazione con la Santa Sede, una riconciliazione che allo stato attuale lui non sembra cercare particolarmente.
Nella sua Dichiarazione recente viene fatto un riferimento a mons. Marcel Lefebvre. È un riferimento interessante. Dice mons. Viganò: “Cinquant’anni fa, in quello stesso Palazzo del Sant’Uffizio, l’Arcivescovo Marcel Lefebvre venne convocato e accusato di scisma per aver rifiutato il Vaticano II. La sua difesa è la mia, le sue parole sono le mie, miei sono i suoi argomenti dinanzi ai quali le Autorità romane non hanno potuto condannarlo per eresia, dovendo aspettare che consacrasse dei Vescovi per avere il pretesto di dichiararlo scismatico e revocargli la scomunica quando ormai era morto. Lo schema si ripete anche dopo che dieci lustri hanno dimostrato la scelta profetica di Mons. Lefebvre”. Capisco come mons. Viganò possa sentire vicino a sé l’esempio di mons. Lefebvre, anche se, ovviamente, la posizione di fronte al Papa non è la stessa. Mons. Lefebvre cercò di non mettere in dubbio la legittimità dei Papi a lui contemporaneo mentre mi sembra mons. Viganò abbia in questo una posizione molto più radicale: “La Rinunzia di Benedetto XVI e la nomina da parte della Mafia di San Gallo di un successore in linea con i diktat dell’Agenda 2030 doveva consentire – e ha effettivamente consentito – di gestire il golpe globale con la complicità e l’autorevolezza della Chiesa di Roma. Bergoglio è per la Chiesa ciò che altri leader mondiali sono per le loro Nazioni: traditori, eversori, liquidatori finali della società tradizionale e certi dell’impunità. Il vizio di consenso (vitium consensus) da parte di Bergoglio nell’accettare l’elezione si basa appunto sull’evidente alienità della sua azione di governo e di magistero rispetto a ciò che qualsiasi Cattolico di qualsiasi tempo si aspetta dal Vicario di Cristo e dal Successore del Principe degli Apostoli. Tutto ciò che Bergoglio compie costituisce un’offesa e una provocazione a tutta la Chiesa Cattolica, ai suoi Santi di tutti i tempi, ai Martiri che sono stati uccisi in odium Fidei, ai Papi di tutti i tempi fino al Concilio Vaticano II”. Detto questo, bisogna però anche dire che le tentazioni sedevacantiste e sede materialiste nascono proprio in seno alla Fraternità (anche se padre Guerard de Lauriers, fautore della Tesi di Cassiciaco, fu allontanato dall’insegnamento nella Fraternità). Le tentazioni di tesi alternative a quelle della legittimità del Pontefice si aggirano come uno spettro nella vita della Chiesa e non da oggi.
Io credo che la figura di mons. Viganò sia interessante anche per un altro fatto. Il suo tentativo di agganciare la spaventosa crisi di fede con il declino morale, civile e politico che il mondo sta vivendo. Questo, paradossalmente, quasi agganciandosi proprio a quella lettura dei segni dei tempi voluta dal Concilio Vaticano II da lui ora tanto osteggiato.
Il punto 3 mi fa porre altri interrogativi: quanti “mons. Viganò” esistono nel clero e nella gerarchia, prelati che in fondo condividono quei giudizi ma che tacciono per paura di perdere posizione e colazione?