Schena - La “contrapposizione fra modernisti e passatisti”, che lei riprende nella sua cortese risposta, è, temo, ormai vecchia: sia perché il modernismo ormai è sfaccettato in migliaia di correnti (molte spesso a fatica riconoscibili come cristiane, figuriamoci cattoliche); sia perché il tradizionalismo, nato con afflato prevalentemente liturgico (ma la FSSPX ci tiene spesso a ribadire che la sua opposizione fu anzitutto teologica – tanto che per qualche breve anno continuò ad utilizzare il rito mutilato del 1965-69), è oggi a sua volta fenomeno estremamente frammentario – e il presente pontificato ha certamente catalizzato il processo – andando da veri e propri passatismi di maniera (come quelli verso i quali mi sembrano effettivamente dirigersi diverse sue critiche – con non poche ragioni) a parossismi millenaristici (alimentati dalla situazione che da due anni paralizza il mondo e troppo spesso le menti). Ne parlava in termini più diffusi lo stesso maestro Porfiri qualche tempo fa’.
Per questo insistere su questa contrapposizione – che ha senz’altro avuto la sua rilevanza storica, in passato – mi pare oggi sforzo sterile e infruttuoso, anacronistico. È un parlare senza un reale interlocutore; o un rivolgersi ad un singolo interlocutore quando in realtà si ha davanti una folla sterminata ed eterogenea: i toni, e i contenuti, non possono non essere diversi.
In questo mare magnum del “tradizionalismo”, o dei tradizionalismi, si trovano anche delle correnti molto più sane ed equilibrate, nelle quali si stanno serenamente articolando serie riflessioni sulle radici profonde dei mali che affliggono la Chiesa visibile: tra gli altri, un sentimento ultramontanista esagerato e deviato (qualcuno lo ha definito lo “spirito – o falso spirito – del Concilio Vaticano I”) e un conseguente esercizio dispotico ed esorbitante del potere petrino (non certo prerogativa dei soli papi post-conciliari).
Risposta – La distinzione fra passatisti e modernisti ha un buon fondamento sull’opposizione fra coloro che vogliono conservare ciò che è da abbandonare e coloro che vogliono abbandonare ciò che è da conservare.
Quanto alla designazione di «cattolici» degli uni e degli altri, siccome ci tengono ad essere designati tali, ho ritenuto opportuno metterli all’interno della Chiesa, benché accolgano alcune eresie, soprattutto i modernisti. I passatisti sono soprattutto scismatici, ma sostanzialmente ortodossi ed anzi alcuni addirittura tomisti.
Il termine «modernismo» non lo uso nel senso identico a quello usato da S.Pio X, come «somma di tutte le eresie», ma nel senso di idolatria della modernità, ossia non un giudicare il moderno alla luce del Vangelo, ma lo scegliere nel Vangelo solo ciò che è gradito alla modernità.
Distinguo il moderno dal modernista: dobbiamo essere moderni, aggiornarci, progredire, rinnovarci, senza per questo accogliere gli errori della modernità – questo sarebbe modernismo - , ma, alla luce del Concilio, accoglierne i valori.
Il moderno si può intendere in due sensi: o un senso assiologico o un senso temporale. Il senso assiologico significa migliore, più avanzato. Così preferisco un’auto moderna a una del passato. Moderno in senso temporale è ciò che esiste oggi, che può essere buono o cattivo. Non per il semplice fatto che esiste oggi è buono: questo è l’errore dei modernisti. Siccome oggi è approvata la sodomia, allora la sodomia non è più peccato, ma è diventata lecita. Non è la verità che regola il tempo, ma è il tempo che determina la verità. Questo è il principio fondamentale del modernismo.
Il termine «passatista» l’ho coniato io in sostituzione del termine tradizionalista e conservatore, i quali mi pare che abbiano una loro dignità degna di rispetto. Infatti sappiamo quanto è importante la Sacra Tradizione e la custodia del deposito rivelato. Invece il termine passatista mette bene il luce il difetto di questi falsi devoti della Tradizione, che, come dice Papa Francesco, sono rimasti fermi a un passato ormai finito.
Con tutto ciò non nego che possiamo usare anche altri criteri di distinzione, come quello usato da Papa Francesco: favorevoli e contrari al Concilio Vaticano II. Tuttavia, occorrerebbe precisare meglio con Benedetto XVI tra veri e falsi favorevoli al Concilio: i primi, che vedono il progresso nella continuità; i secondi che intendono il progresso come rottura. Inoltre, sempre con Benedetto XVI, bisognerebbe distinguere fra oppositori delle dottrine del Concilio – cosa illecita – e critici della pastorale – cosa ammissibile.
Riguardo agli attuali costumi morali, con particolare riguardo alle idee sull’etica sessuale, potremmo distinguere tra rigidi o rigoristi (passatisti) e lassisti o sovversivi(modernisti).
Schena – Non penso che un’espressione diffusa ed eufemistica come “quel cavolo che vuole il Papa di turno” possa ormai essere descritta come “volgare”, se non forse nel senso prettamente etimologico del termine. Non è raro vedere sacerdoti (alcuni dei quali so per certo che lei ben conosce) usare in pubblico espressioni, a dir poco, estremamente più colorite. Confido quindi che de hoc satis.
Risposta – bisogna seguire i buoni esempi. Ha mai notato espressioni del genere negli scritti di qualche Santo?
Schena - La lex orandi tradizionale è autentico luogo teologico. Quindi difficilmente si può dire che non abbia attinenza con la dottrina. Fin troppo facile ricordare qui l’adagio di Prospero d’Aquitania: “legem credendi lexstatuat supplicandi” o, popolarmente, “lex orandi, lex credendi”. Che non è illegittimo intendere non solo come regola di estetica o poietica liturgica, ma come reale principio di gerarchia tra liturgia e dottrina. Gli orientali (fuori o meno dalla comunione cattolica) sul punto sono certamente più coerenti rispetto al pesante interventismo dei latini da San Pio X/Pio XII in avanti.
In ogni caso, il discorso mi pare esageratamente incentrato sulla “autorità del Successore di Pietro”, a discapito delle legittime diversità da riconoscersi alle Chiese locali e all’autorità dei singoli Vescovi.
Risposta – Esiste una lex orandi intrinseca all’essenza della Messa ed una lex orandideterminabile dai Sommi Pontefici, nella loro facoltà di determinare le modalità delrito della Messa a seconda delle circostanze di tempo o di luogo. Quando per esempio Papa Francesco ha detto che oggi il novus ordo è l’unica lex orandi ufficialmente in vigore, si è valso della sua facoltà di cui sopra, che non implica assolutamente l’abolizione del vetus ordo, come alcuni hanno temuto senza motivo.
Mia tesi - “per la custodia della [Sacra Tradizione] il Papa fruisce di un carisma di infallibilità in forza dell’ufficio petrino, in quanto conservatore del deposito rivelato” “Il Magistero è infallibile nel distinguere le tradizioni apostoliche da quelle spurie o superate”. “Parlando del Magistero mi riferisco a quello pontificio, la cui infallibilità è stata definita dogmaticamente dal Concilio Vaticano I”.
Schena - Non nego che possa essere una proposizione difendibile e pia, ma difficilmente si può far ricadere sotto la stretta definizione dogmatica dell’infallibilità pontificia del primo Concilio Vaticano, che (Deo Gratias!) riguarda esclusivamente il magistero straordinario ex cathedra. Né si può ritenere un portato necessario dell’indefettibilità della Chiesa (posto che ciò che è fallibile è almeno tendenzialmente controvertibile).
Risposta – La definizione dell’infallibilità dottrinale pontificia proclamata dal Concilio Vaticano I riguarda in primis l’insegnamento di un nuovo dogma, ma siccome il Sommo Pontefice è custode della Sacra Tradizione per mandato di Cristo, si deve ritener per certo che il Papa, come Maestro della fede, è infallibile anche nel custodire ed interpretare la Sacra Tradizione, che contiene parte delle verità di fede della divina Rivelazione.
Mia tesi - “Senza dubbio l’attuale cammino sinodale è stato voluto dal Papa per ottenere unità, pace, riconciliazione e concordia nella verità e nella diversità, onde sanare questo conflitto che è sotto gli occhi di tutti gli osservatori, dentro e fuori la Chiesa. […]
Bisogna che le due parti facciano uno sforzo di mutua comprensione e di dialogo, comprendendo che per le qualità proprie di ciascuna parte (conservazione e progresso) sono fatte per completarsi a vicenda, entrambe indispensabili al buon andamento della Chiesa nella fedeltà all’immutabile Parola di Dio e nella crescita nella santità”.
Schena - I processi alle intenzioni, soprattutto ex ante, non si fanno; e la buona fede si presume. Ma non posso pensare che lei creda realmente che tra le aspirazioni alla base dell’ultimo tour de force sinodale ci sia la pacificazione con la galassia tradizionalista. Siamo seri. Come possiamo farci illusioni, con una premessa a questo “percorso” come il motu proprio Traditionis Custodes, che con un colpo di penna ha distrutto quella pace liturgica che, al netto di qualche scheggia impazzita (va detto: se ne trovano a sinistra ben più di quante se ne trovino a destra) in tanti luoghi aveva prodotto buoni e abbondanti frutti, fatti ora oggetto di palese disprezzo di parte della gerarchia?
Risposta – L’insistenza con la quale il Santo Padre ha esortato a compiere assieme in mutua collaborazione il cammino sinodale è un evidente richiamo a superare le faziosità e gli estremismi passatisti e modernisti per accorciare le distanze, parlarsi, confrontarsi, integrarsi e perdonarsi vicendevolmente. Se da 60 anni esiste un cammino ecumenico e addirittura un dialogo interreligioso e con non-credenti, è maipossibile che tra fratelli all’interno della Chiesa ci si debba invidiare, ignorare, disprezzare e diffamare a vicenda, con vane pretese di monopolizzare il nome cattolico e spirito partigiano? Che esempio diamo a chi è fuori della Chiesa?
Lo scopo dichiarato del Traditionis Custodes è «comporre lo scisma». Scisma di chi? È evidente: lo scisma di coloro che non vogliono il novus ordo, qualificandolo con i titoli più diversi: non conforme alle indicazioni della Sacrosanctum Concilium», falsificazione del Rito Romano, semiprotestante, modernista, privo di senso del sacro, influenzato da Mons.Bugnini, fatto a tavolino, contrario alla Tradizione. Non si tratta, quindi del puro e semplice amore per il vetus ordo: questa è cosa del tutto lecita, alle condizioni poste dal Papa. Il Papa chiama tutti i cattolici di rito romano attorno al novus ordo, perché non vi siano scismi, ma tutti i cattolici concordemente ed unitariamente si raccolgano attorno al novus ordo, come odierna lex orandi per la Chiesa di oggi,
Con questo documento, quindi, il Papa non impedisce la sinodalità e la comunione, ma ne indica le condizioni liturgiche e spirituali per realizzarla. Chiamando i fratelli scismatici alla comunione col Papa, il Santo Padre non impedisce la sinodalità, ma la costruisce. Non crea divisioni, ma indica come superarle.
Il titolo stesso Traditionis custodes avverte gli scismatici, che hanno un concetto sbagliato della Tradizione, a considerare che spetta al Papa e agli apostoli determinare qual è la vera Tradizione, perché Cristo ha affidato a loro la custodia della Tradizione. Per questo, al buon cattolico non è lecito accusare il Papa in nome della Tradizione, quasi che quel fedele possa conoscere la Tradizione meglio del Papa, perché viceversa spetta al Papa spiegare ai fedeli i contenuti della Tradizione efornire lo stesso concetto esatto di Tradizione.
Anche e soprattutto in campo liturgico troviamo la spaccatura fra passatisti e modernisti. E se é grave lo scisma che troviamo tra i primi, ben più grave, come ha detto Schena, è l’eresia e addirittura la criptoapostasia che troviamo fra i modernisti, assai più numerosi e potenti dei primi.
I modernisti partono da un retroterra teologico modernista, come per esempio quello rahneriano o di Schillebeeckx, il quale nega il valore espiativo e soddisfattorio del sacrificio di Cristo con conseguente invalidazione della Messa come sacrificio e del sacerdozio come offerta del sacrificio cultuale. Non ci sarà da meravigliarsi allora circa la pratica tra i modernisti di Messe stravaganti, dissacranti ed invalide perché celebrate da sacerdoti eretici o invalidamente ordinati.
Certamente i fedeli che non sanno di queste cose abominevoli, che rimangono per lo più note agli specialisti, ricevono comunque la grazia secondo il noto principio supplet Ecclesia. Ma ciò non toglie che lo scandalo sia gravissimo e che siano fortemente auspicabili provvedimenti severi disciplinari e canonici nei confronti di quei sacerdoti o pseudosacerdoti che commettono questi abusi obbiettivamente peggiori degli abusi sessuali.
Questi, in fin dei conti, perpetrati nell’ombra, per quanto abominevoli, recano danno solo alle singole povere piccole vittime. Ma gli abusi liturgici dei modernisti, sfacciatamente commessi coram populo da decenni davanti a e a danno di un numero ingentissimo di fedeli, provocano immensa rovina nelle anime, così come il peccato di sacrilegio o di empietà o di idolatria è obbiettivamente (a prescindere dalle attenuanti soggettive) ben più grave del peccato di lussuria.
Mia tesi - “L’accusare il Magistero di aver «divorato la Tradizione» è l’accusa di chi non ha capito niente della funzione del Magistero, che è proprio quella di conservare, custodire ed interpretare la Tradizione rettamente intesa, ossia come lo stesso Magistero la intende”
Schena - Non nego che la sua ricostruzione sia internamente coerente con il suo modo di intendere i concetti di Tradizione e Magistero. L’accusa, più che di chi non ha capito niente di Magistero o di Tradizione, penso che venga da chi intende la Tradizione, o il Magistero, o entrambi, in modo diverso da come li intende lei.
Risposta – L’accusa al Magistero di aver divorato la Tradizione non viene da chi intende la Tradizione o il Magistero, o entrambi, in modo diverso da come li intendo io, ma viene da chi li intende in modo sbagliato, giacchè il modo in cui li intendo io, se lei legge attentamente quanto ho detto, riporta quello che lo stesso Magistero dice di se stesso in rapporto alla Tradizione.
Schena - Tuttavia la sua locuzione mi sembra risolversi, sul piano logico-semantico, proprio in tale divorazione: - “la funzione del Magistero è quella di conservare la Tradizione come la intende il Magistero”;
- “la Tradizione è ciò che il Magistero intende per Tradizione”;
- quindi “la funzione del Magistero è conservare ciò che il Magistero intende per Tradizione”;
- forse faccio un salto logico più lungo del debito, ma l’impressione tautologica che se ne può derivare, in definitiva, è che “la funzione del Magistero è conservare il Magistero”.
Risposta – No, la funzione del Magistero, che a sua volta è espressione della Tradizione, come lo stesso Magistero ha detto molte volte, è quella, ricevuta da Cristo, di recepire, custodire, interpretare ed insegnare infallibilmente i contenuti di fede della Tradizione.
Schena - Ma anche fermandosi al “gradino” precedente, non riesco a non vedere come la sua proposizione non possa non cadere nel nominalismo rispetto al secondo termine, quello della Tradizione, che diventa in buona sostanza del tutto superfluo e arbitrario.
Risposta – Il Magistero non è basato su se stesso e non annuncia se stesso, né cose inventate da lui, ma annuncia il contenuto di un deposito dottrinale orale che loprecede, proveniente dalla bocca stessa di Cristo, ossia appunto il deposito della Tradizione orale, messa per iscritto dagli Evangelisti ed affidata da Cristo a Pietro e agli Apostoli da annunciare a tutto il mondo.
Schena - Lei ribatterà certo che la Tradizione (almeno intesa come Sacra Tradizione) ha un suo contenuto oggettivo, che
Mia tesi - “i contenuti di questo (a) Magistero sono gli stessi della (b) Sacra Tradizione e delle (c) tradizioni ecclesiali, insieme con gli insegnamenti della (d)Sacra Scrittura”.
Io le risponderò che questo è in realtà un “dover essere”, non un “essere” sic etsimpliciter; affermare il contrario significa o predicare l’infallibilità generale di tutto il Magistero (il che equivale a fare del Pontefice, in pratica, un semidio) o ammettere pianamente il nominalismo dei termini b, c, d.
Risposta – Siccome i contenuti del Magistero in quanto tradizionali sono verità di fede rivelate da Cristo e il Magistero sotto la guida di Pietro ha il mandato, assistito dallo Spirito Santo, di custodire questi contenuti di fede, occorre dire che il Magistero non può sbagliare nel trasmetterci queste verità, se no dovremmo dire che Cristo ha mancato alla promessa di assistere il Magistero nella trasmissione fedele del messaggio evangelico scritto o trasmesso oralmente attraverso la predicazione apostolica.
Schena - Ma proprio in questo equivoco mi pare lei cadda laddove afferma che il Papa:
Mia tesi - “è l’unico fedele che da Cristo ha il compito di confermare nella fede tutti gli altri”
Senz’altro il Romano Pontefice ha questo compito. Ma proprio il fatto che di un “compito” si tratti, implica che a tale compito il singolo uomo possa assolvere male, o nient’affatto.
E anche la sentenza per cui:
Mia tesi - “Un Papa […] può peccare contro tutte le virtù, ma non contro la fede”
Risposta – No, il Papa è l’unico fedele in tutta la Chiesa che non può peccare contro la fede, perchè ha da Cristo una virtù invincibile nel confermare la fede di tutti i fedeli. Se il Papa pronuncia obiter qualche frase che sembra mancare a questa sua virtù o va interpretata in bonam partem o non va presa in considerazione, perché non esprime la fede di Pietro.
E anche la sentenza per cui:
Mia tesi - “Un Papa […] può peccare contro tutte le virtù, ma non contro la fede”
Schena - è senz’altro pia e molti teologi in passato non hanno esitato a ritenerla come la più probabile… ma non è senz’altro un dogma di fede, e negli ultimi anni non pochi hanno rimesso mano alla questione del “papa eretico”, elaborando su quanto già affermavano in tempi non sospetti, tra gli altri, un Bellarmino, un Suarez, un Gaetano, un Torquemada, un Giovanni di San Tommaso.
Risposta – Non è necessario che sia un dogma di fede. È una conclusione teologica sicura, perchè se così non fosse,vorrebbe dire che Cristo ci ha ingannati, quando ha assicurato a Pietro la sua assistenza, quando ha detto agli apostoli «chi ascolta voi, ascolta me» e quando ha promesso di essere con gli Apostoli fino alla fine del mondo. Insegnare l’eresia vuol dire guidare alla perdizione. Non è pensabile che colui che è il Vicario di Cristo in terra possa guidarci alla perdizione.
Quei teologi fanno delle ipotesi di tipo scolastico domandandosi che cosa succederebbe se un Papa fosse eretico. E se affermano che un Papa può essere eretico si sbagliano. È meglio tener conto delle suddette parole molto chiare di Cristo. Si può dare il caso del Papa demente – cosa che non è mai successa -, ma allora è evidente che perde la sua autorità.
Mia tesi - “Tommaso in molte occasioni, nel dimostrare che una proposizione è di fede, cita sentenze di Papi […] In Tommaso la percezione e il rispetto per la Sacra Tradizione si vedono dall’attenzione che presta ai decreti dei Concili e dei Papi e all’insegnamento dei Padri”
Schena - È chiaro che S. Tommaso non fosse ostile all’autorità pontificia o un cripto-anarchico: tutto ciò che si voleva notare è che laddove un richiamo sbrigativo a dichiarazioni magisteriali sarebbe bastato a “tagliare la testa” alle questioni più controverse, Tommaso più frequentemente preferisce ricorrere alla testimonianza dei Padri. Non c’è, insomma, quella focalizzazione ossessiva sul dictum papale così tipica di troppo discorso teologico contemporaneo. Ma nemmeno c’è disprezzo o indifferenza.
Risposta – Oggi i modernisti teologi e giornalisti amano citare frasi del Papa che si prestano ad essere interpretate in senso modernistico distorcendone ulteriormente il senso a loro favore, ma sono certo che essi non credono affatto all’infallibilità pontificia. Tommaso cita i Papi o i Concili quando vuole avere la conferma della Tradizione; cita i Padri come autorità nel campo della teologia. I Padri non sono testimoni infallibili della Tradizione. Vedi per esempio la loro concezione della donna o del popolo ebraico o della pena di morte o del millenarismo o del riscatto di Cristo pagato al diavolo o dei sette giorni della creazione o del cielo empireo.
Mia tesi - “Parliamo con rispetto del Messale di S.Paolo VI. Esso contiene la Parola di Dio e la Tradizione allo stesso modo del Messale di S.Pio V o dei Messali precedenti. Avverto che il Rito Romano autentico, ossia l’essenza della Messa, resterà integralmente fino alla fine del mondo. Semmai nel novus ordo, ammesso che sia vero, resterà il 13% del Rito Romano antico. Non confondiamo l’autentico con l’antico. Il primo è insopprimibile e inabrogabile; il secondo può contenere parti caduche”.
Schena - Caro Padre, nel mio discorrere quotidiano con tanti cattolici – che la pensano diversamente da me; che nella loro vita non hanno conosciuto altro che il rito del 1970; che con quella liturgia, nonostante tutte le sue tare, si sono santificati probabilmente molto più di quanto lo abbia fatto io che pure ho avuto la fortuna e la grazia di incontrare la Messa dei Padri – mai e poi mai mi permetto di deridere gratuitamente o di trattare a male parole il Novus OrdoMissae.
Ma quando si tratta di una franca discussione teologica, credo che sia necessario lasciare da parte ogni forma di rispetto propria del benevolo incontro umano a favore della massima chiarezza.
D’altra parte, non ho usato che una definizione coniata da uno dei padri stessi del rito riformato. Il problema è sempre quello del nominalismo: il Rito del 1970, dal punto di vista della scienza liturgica, non può essere definito “Rito Romano”, per lo meno nello stesso senso in cui lo era il rito liturgico mantenuto grosso modo intatto fino al messale del 1962/1965-69.
Si può parlare di un Rito Moderno (Gamber), di un rito paolino (per l’autorità di chi lo creò), di un rito vaticano (per il luogo dove fu inventato) o di un rito bugniniano (per il principale suo architetto) etc. Ma, dal punto di vista della scienza liturgica, il prodotto del 1970 ha ben poco a che spartire con il Rito Romano. Salvo ammettere che un Papa abbia il potere di fare, di una qualsiasi liturgia inventata a tavolino, per magia, il “Rito Romano”. Un Papa che fa ciò non è molto diverso da un Papa che dichiara l’Arno un fiume di Roma.
In questo senso il NO è un rito inautentico.Nessuno nega che esso contenga una consacrazione sacramentalmente valida (e che in questo senso contenga “l’essenza della Messa”, come dice lei); ma altra cosa è il rito romano nella sua autenticità, e altra cosa è “l’essenza della Messa” (altrimenti dovremmo negare che sia essenzialmente Messa la divina liturgia orientale, no?). Mi rendo conto che forse ci divide una certa lontananza semantica, soprattutto in campo liturgico.
Ad ogni modo, in questo senso, Traditionis Custodes è stata ahimè chiarificatrice: il Novus e il Romano sono due riti diversi; già da anni i commentatori più attenti si erano accorti che quella di Summorum Pontificumfosse in realtà una finzione giuridica: molto utile ai fini di una proficua pace liturgica, ma incapace di confrontarsi con quello che gli inglesi chiamano “l’elefante nella stanza”, l’hapax assoluto rappresentato da una liturgia creata a tavolino che si pretenderebbe continuazione del rito romano precedente, del quale adopera semmai solo qualche parte cadaverica.
Risposta – La cosa è molto semplice: a chi spetta se non al Papa, il Romano e Sommo Pontefice, Sommo Liturgo e Sacerdote, supremo Moderatore della disciplina dei Sacramenti, definire, interpretare, custodire, conservare, riformare e modificare il Rito Romano a suo insindacabile giudizio, ove lo ritenga utile o necessario?Altrimenti, come dovremmo chiamare la Messa in uso nella Chiesa di Roma?
Mia tesi - “Nessuno ha detto che la Comunione in bocca è cosa superata”
Schena - Felice di vederla riconsiderare quanto detto, perché in realtà nel suo intervento annoverava tra le tradizioni che, al vaglio del Magistero, si sono rivelate superate, proprio la Comunione in bocca. Riconoscerà che la comunione nella mano per come la si pratica oggi – è stata più correttamente definita “comunione digitale” (prendere la santa particola con le dita più o meno come lo si farebbe con una patatina) – è qualcosa che, oltre a non essersi mai visto in tutta la storia della Chiesa e ad essere il principale imputato della dissoluzione della pietà eucaristica, avrebbe fatto ribrezzo allo stesso Martin Lutero: vedi qui.
Risposta – Si può dire l’una e l’altra cosa sotto aspetti diversi. La Comunione in bocca resta sempre una prassi valida, di veneranda tradizione, e in tale senso non è superata. Io stesso, quando un fedele me la chiede, gliela dò. Si può dire superata, considerando le attuali disposizioni della CEI, con particolare riferimento alle cautele relative alla pandemia.
Caro Padre, la ringrazio per l’ulteriore risposta. E ringrazio il Mº Porfiri per aver permesso questo confronto.
Che dire? Mi sembra che le posizioni siano chiare: più vicine di quanto si direbbe su molti punti, ma su diversi altri irrimediabilmente lontane.
Oremus pro invicem!