Gentile e Reverendo Padre,
Anzitutto mi preme di ringraziarla per la considerazione che ha voluto dare alle mie riflessioni, che sono quelle di un amatore delle scienze teologiche, ma non certo di un “professionista” come lei. Non voglio - né credo di avere gli strumenti per - entrare in polemica con lei. I miei vogliono essere più che altro degli spunti per un approfondimento del discorso, perché questo non si areni su argomenti o categorie che ormai non sono più in grado di descrivere la complessità del reale.
Ad esempio, la stessa “contrapposizione fra modernisti e passatisti”, che lei riprende nella sua cortese risposta, è, temo, ormai vecchia:
sia perché il modernismo ormai è sfaccettato in migliaia di correnti (molte spesso a fatica riconoscibili come cristiane, figuriamoci cattoliche);
sia perché il tradizionalismo, nato con afflato prevalentemente liturgico (ma la FSSPX ci tiene spesso a ribadire che la sua opposizione fu anzitutto teologica – tanto che per qualche breve anno continuò ad utilizzare il rito mutilato del 1965-69), è oggi a sua volta fenomeno estraneamente frammentario – e il presente pontificato ha certamente catalizzato il processo – andando da veri e propri passatismi di maniera (come quelli verso i quali mi sembrano effettivamente dirigersi diverse sue critiche – con non poche ragioni) a parossismi millenaristici (alimentati dalla situazione che da due anni paralizza il mondo e troppo spesso le menti). Ne parlava in termini più diffusi lo stesso maestro Porfiri qualche tempo fa’:
Per questo insistere su questa contrapposizione – che ha senz’altro avuto la sua rilevanza storica, in passato – mi pare oggi sforzo sterile e infruttuoso, anacronistico. È un parlare senza un reale interlocutore; o un rivolgersi ad un singolo interlocutore quando in realtà si ha davanti una folla sterminata ed eterogenea: i toni, e i contenuti, non possono non essere diversi.
In questo mare magnum del “tradizionalismo”, o dei tradizionalismi, si trovano anche delle correnti molto più sane ed equilibrate, nelle quali si stanno serenamente articolando serie riflessioni sulle radici profonde dei mali che affliggono la Chiesa visibile: tra gli altri, un sentimento ultramontanista esagerato e deviato (qualcuno lo ha definito lo “spirito – o falso spirito – del Concilio Vaticano I”) e un conseguente esercizio dispotico ed esorbitante del potere petrino (non certo prerogativa dei soli papi post-conciliari).
Permetta anche a me di rispondere alle sue osservazioni per interlinea e per parte.
PRIMA PARTE
1. “Un linguaggio così volgare non si confà ad un periodico che intenda trattare seriamente di cose di Chiesa, soprattutto poi se la persona colpita è il Santo Padre.”
Non penso che un’espressione diffusa ed eufemistica come “quel cavolo che vuole il Papa di turno” possa ormai essere descritta come “volgare”, se non forse nel senso prettamente etimologico del termine. Non è raro vedere sacerdoti (alcuni dei quali so per certo che lei ben conosce) usare in pubblico espressioni, a dir poco, estremamente più colorite.
Confido quindi che de hoc satis.
Se poi si riferiva all’aver descritto i contenuti della prima parte del suo intervento come “soliti (e un po’ ritriti)”, questo è solo perché, come accennavo in apertura, mi pare di averglieli già visti formulare in passato, e speravo di ritrovare nei suoi interventi una maggior attenzione a come il discorso teologico è andato approfondendosi negli ultimi anni.
Peraltro, la mia considerazione non voleva andare a “colpire” alcun pontefice, nello specifico, e si riferiva piuttosto alla proposizione teologica in sé considerata. Se proprio la si dovesse cucire addosso a qualcuno, l’avrei riferita piuttosto a un Pio IX (al quale è stata credibilmente attribuita l’uscita: “la Tradizione sono io!”) che a un Papa Francesco, il quale semmai raccoglie, inconsapevole, i frutti di un ultramontanismo deviato.
2. “Ripeto comunque qui quello che ho già detto…”
La ringrazio per aver nuovamente articolato il suo pensiero, che comprendo e in larga parte condivido. L’apparentamento della tradizione liturgica con “banali” tradizioni popolari o agiografiche, però, non mi sembra legittimo. Ciò anche solo nella misura in cui (e lo riconosce lei stesso nella risposta al passaggio n. 5) la lex oranditradizionale è autentico luogo teologico. Quindi difficilmente si può dire che non abbia attinenza con la dottrina. Fin troppo facile ricordare qui l’adagio di Prospero d’Aquitania: “legem credendi lexstatuat supplicandi” o, popolarmente, “lex orandi, lex credendi”. Che non è illegittimo intendere non solo come regola di estetica o poietica liturgica, ma come reale principio di gerarchia tra liturgia e dottrina. Gli orientali (fuori o meno dalla comunione cattolica) sul punto sono certamente più coerenti rispetto al pesante interventismo dei latini da San Pio X/Pio XII in avanti.
In ogni caso, il discorso mi pare esageratamente incentrato sulla “autorità del Successore di Pietro”, a discapito delle legittime diversità da riconoscersi alle Chiese locali e all’autorità dei singoli Vescovi.
Anche qui, il tema è complesso, ma mi pare di cogliere un appiattimento del concetto di “Magistero” su quello di “Magistero pontificio”, che rischia di trasformare i singoli successori degli apostoli in poco più che “manager locali” di Roma.
3. “per la custodia della [Sacra Tradizione] il Papa fruisce di un carisma di infallibilità in forza dell’ufficio petrino, in quanto conservatore del deposito rivelato” “Il Magistero è infallibile nel distinguere le tradizioni apostoliche da quelle spurie o superate”. “Parlando del Magistero mi riferisco a quello pontificio, la cui infallibilità è stata definita dogmaticamente dal Concilio Vaticano I”.
Non nego che possa essere una proposizione difendibile e pia, ma difficilmente si può far ricadere sotto la stretta definizione dogmatica dell’infallibilità pontificia del primo Concilio Vaticano, che (Deo Gratias!) riguarda esclusivamente il magistero straordinario ex cathedra. Né si può ritenere un portato necessario dell’indefettibilità della Chiesa (posto che ciò che è fallibile è almeno tendenzialmente controvertibile).
4. “Senza dubbio l’attuale cammino sinodale è stato voluto dal Papa per ottenere unità, pace, riconciliazione e concordia nella verità e nella diversità, onde sanare questo conflitto che è sotto gli occhi di tutti gli osservatori, dentro e fuori la Chiesa. […]
Bisogna che le due parti facciano uno sforzo di mutua comprensione e di dialogo, comprendendo che per le qualità proprie di ciascuna parte (conservazione e progresso) sono fatte per completarsi a vicenda, entrambe indispensabili al buon andamento della Chiesa nella fedeltà all’immutabile Parola di Dio e nella crescita nella santità”.
I processi alle intenzioni, soprattutto ex ante, non si fanno; e la buona fede si presume. Ma non posso pensare che lei creda realmente che tra le aspirazioni alla base dell’ultimo tour de force sinodale ci sia la pacificazione con la galassia tradizionalista. Siamo seri. Come possiamo farci illusioni, con una premessa a questo “percorso” come il motu proprio Traditionis Custodes, che con un colpo di penna ha distrutto quella pace liturgica che, al netto di qualche scheggia impazzita (va detto: se ne trovano a sinistra ben più di quante se ne trovino a destra) in tanti luoghi aveva prodotto buoni e abbondanti frutti, fatti ora oggetto di palese disprezzo di parte della gerarchia?
5. “L’accusare il Magistero di aver «divorato la Tradizione» è l’accusa di chi non ha capito niente della funzione del Magistero, che è proprio quella di conservare, custodire ed interpretare la Tradizione rettamente intesa, ossia come lo stesso Magistero la intende”
Non nego che la sua ricostruzione sia internamente coerente con il suo modo di intendere i concetti di Tradizione e Magistero. L’accusa, più che di chi non ha capito niente di Magistero o di Tradizione, penso che venga da chi intende la Tradizione, o il Magistero, o entrambi, in modo diverso da come li intende lei.
Tuttavia la sua locuzione mi sembra risolversi, sul piano logico-semantico, proprio in tale divorazione: - “la funzione del Magistero è quella di conservare la Tradizione come la intende il Magistero”;
- “la Tradizione è ciò che il Magistero intende per Tradizione”;
- quindi “la funzione del Magistero è conservare ciò che il Magistero intende per Tradizione”;
- forse faccio un salto logico più lungo del debito, ma l’impressione tautologica che se ne può derivare, in definitiva, è che “la funzione del Magistero è conservare il Magistero”.
Ma anche fermandosi al “gradino” precedente, non riesco a non vedere come la sua proposizione non possa non cadere nel nominalismo rispetto al secondo termine, quello della Tradizione, che diventa in buona sostanza del tutto superfluo e arbitrario.
Lei ribatterà certo che la Tradizione (almeno intesa come Sacra Tradizione) ha un suo contenuto oggettivo, che
6. “i contenuti di questo (a) Magistero sono gli stessi della (b) Sacra Tradizione e delle (c) tradizioni ecclesiali, insieme con gli insegnamenti della (d)Sacra Scrittura”.
Io le risponderò che questo è in realtà un “dover essere”, non un “essere” sic et simpliciter; affermare il contrario significa o predicare l’infallibilità generale di tutto il Magistero (il che equivale a fare del Pontefice, in pratica, un semidio) o ammettere pianamente il nominalismo dei termini b, c, d.
Ma proprio in questo equivoco mi pare cadere laddove afferma che il Papa:
7. “è l’unico fedele che da Cristo ha il compito di confermare nella fede tutti gli altri”
Senz’altro il Romano Pontefice ha questo compito. Ma proprio il fatto che di un “compito” si tratti, implica che a tale compito il singolo uomo possa assolvere male, o nient’affatto.
E anche la sentenza per cui:
8. “Un Papa […] può peccare contro tutte le virtù, ma non contro la fede”
è senz’altro pia e molti teologi in passato non hanno esitato a ritenerla come la più probabile… ma non è senz’altro un dogma di fede, e negli ultimi anni non pochi hanno rimesso mano alla questione del “papa eretico”, elaborando su quanto già affermavano in tempi non sospetti, tra gli altri, un Bellarmino, un Suarez, un Caietano, un Torquemada, un Giovanni di San Tommaso (e ciò, si badi, non tanto per lanciare anatemi contro il Pontefice Regnante, quanto per confutare l’improvvida deriva del sedevacantismo anche a fronte delle più sconcertanti esternazioni di questo).
9. “Tommaso in molte occasioni, nel dimostrare che una proposizione è di fede, cita sentenze di Papi […] In Tommaso la percezione e il rispetto per la Sacra Tradizione si vedono dall’attenzione che presta ai decreti dei Concili e dei Papi e all’insegnamento dei Padri”
È chiaro che S. Tommaso non fosse ostile all’autorità pontificia o un cripto-anarchico: tutto ciò che si voleva notare è che laddove un richiamo sbrigativo a dichiarazioni magisteriali sarebbe bastato a “tagliare la testa” alle questioni più controverse, Tommaso più frequentemente preferisce ricorrere alla testimonianza dei Padri. Non c’è, insomma, quella focalizzazione ossessiva sul dictum papale così tipica di troppo discorso teologico contemporaneo. Ma nemmeno c’è disprezzo o indifferenza.
10. “Parliamo con rispetto del Messale di S.Paolo VI. Esso contiene la Parola di Dio e la Tradizione allo stesso modo del Messale di S.Pio V o dei Messali precedenti. Avverto che il Rito Romano autentico, ossia l’essenza della Messa, resterà integralmente fino alla fine del mondo. Semmai nel novus ordo, ammesso che sia vero, resterà il 13% del Rito Romano antico. Non confondiamo l’autentico con l’antico. Il primo è insopprimibile e inabrogabile; il secondo può contenere parti caduche”.
Caro Padre, nel mio discorrere quotidiano con tanti cattolici – che la pensano diversamente da me; che nella loro vita non hanno conosciuto altro che il rito del 1970; che con quella liturgia, nonostante tutte le sue tare, si sono santificati probabilmente molto più di quanto lo abbia fatto io che pure ho avuto la fortuna e la grazia di incontrare la Messa dei Padri – mai e poi mai mi permetto di deridere gratuitamente o di trattare a male parole il Novus OrdoMissae.
Ma quando si tratta di una franca discussione teologica, credo che sia necessario lasciare da parte ogni forma di rispetto propria del benevolo incontro umano a favore della massima chiarezza.
D’altra parte, non ho usato che una definizione coniata da uno dei padri stessi del rito riformato.
Il problema è sempre quello del nominalismo: il Rito del 1970, dal punto di vista della scienza liturgica, non può essere definito “Rito Romano”, per lo meno nello stesso senso in cui lo era il rito liturgico mantenuto grossomodo intatto fino al messale del 1962/1965-69.
Si può parlare di un Rito Moderno (Gamber), di un rito paolino (per l’autorità di chi lo creò), di un rito vaticano (per il luogo dove fu inventato) o di un rito bugniniano (per il principale suo architetto) etc. Ma, dal punto di vista della scienza liturgica, il prodotto del 1970 ha ben poco a che spartire con il Rito Romano. Salvo ammettere che un Papa abbia il potere di fare, di una qualsiasi liturgia inventata a tavolino, per magia, il “Rito Romano”. Un Papa che fa ciò non è molto diverso da un Papa che dichiara l’Arno un fiume di Roma.
In questo senso il NO è un rito inautentico.
Nessuno nega che esso contenga una consacrazione sacramentalmente valida (e che in questo senso contenga “l’essenza della Messa”, come dice lei); ma altra cosa è il rito romano nella sua autenticità, e altra cosa è “l’essenza della Messa” (altrimenti dovremmo negare che sia essenzialmente Messa la divina liturgia orientale, no?).
Mi rendo conto che forse ci divide una certa lontananza semantica, soprattutto in campo liturgico.
Ad ogni modo, in questo senso, Traditionis Custodes è stata ahimè chiarificatrice: il Novus e il Romano sono due riti diversi; già da anni i commentatori più attenti si erano accorti che quella di Summorum Pontificum fosse in realtà una finzione giuridica: molto utile ai fini di una proficua pace liturgica, ma incapace di confrontarsi con quello che gli inglesi chiamano “l’elefante nella stanza”, l’hapax assoluto rappresentato da una liturgia creata a tavolino che si pretenderebbe continuazione del rito romano precedente, del quale adopera semmai solo qualche parte cadaverica.
SECONDA PARTE
Mi pare che talvolta in questa parte della sua gentile replica ci sia una certa confusione, almeno dal punto di vista grafico, tra le citazioni del suo intervento alle quali intendevo rispondere (di regola incluse tra puntini di sospensione “…”) e le mie osservazioni, che seguivano immediatamente alla citazione. Insomma, talvolta si perde la distinzione tra quanto diceva lei nel suo intervento e quanto appuntavo io allo specifico passaggio.
11. “Ancora Benedetto XVI sottolineava l’importanza della Tradizione, ma ecco che con Papa Francesco lo spostamento a sinistra riprende verso il modernismo, senza ovviamente raggiungerlo. Allora si capisce come con Francesco la reazione tradizionalista non sia mai stata così forte. È l’applicazione della legge ben nota ai sociologi, secondo la quale la posizione estremista da una parte provoca una reazione estremista contraria alla parte opposta”.
Al netto dell’ottimismo che ormai pare ampiamente ingiustificato circa il “non raggiungimento del modernismo” da parte (immagino) del magistero ordinario e non infallibile del Santo Padre; mi preme di concordare con lei sull’osservazione latu sensu sociologica: uno dei grossi limiti del “tradizionalismo” è di essere, o di essere diventato, un movimento di mera risposta, di reazione al degrado nella parte visibile della Chiesa.
Ciò era inevitabile e necessario, mettiamo, nei primi anni ’70: Mons. Lefebvre insisteva che, nel formare i sacerdoti, non faceva altro che quello che si faceva prima del Concilio.
Ma, col tempo, mi sembra che una larga parte di questo movimento si sia lasciata definire fin troppo dagli errori che opponeva, privilegiando l’essere “tradizionalisti cattolici” all’essere “cattolici tradizionali”. Da un lato, questo ha portato a certi manierismi nelle forme (per far un esempio – che pur non s’attaglia a tutte le realtà tradizionaliste – dove sta scritto che un sacerdote debba indossare un camice con 150cm di pizzo?) e fissismi pedagogici e dottrinali (riferimento prevalente a un manualistica antiquata e, non di rado, superata – col che non voglio assolutamente dire che il livello medio di educazione nei seminari “ordinari” sia più alto).
Qualcuno in tal senso mi parlò di una certa realtà della galassia tradizionalista come “ferma agli anni ’50. Nel bene e nel male”.
Dall’altro, l’opposizione vuoi ai passaggi più problematici dei testi conciliari, vuoi alle sbandate del magistero dei pontefici del postconcilio, vuoi alle esternazioni più sgradevoli del pontefice regnante, ha spesso portato a quella “reazione estremista contraria” che lei accenna: indisponibilità rispetto alle formulazioni conciliari ortodosse o ad alcuni approfondimenti legittimi portati dall’insegnamento di quei pontefici; e, per fare un esempio attuale, ho l’impressione che l’adesione acritica e incondizionata di Francesco alla campagna vaccinale (oltre che ad essere incoerente con le dichiarazioni della CDF per le quali ci si sarebbe potuti augurare – che so – un appello alla realizzazione di vaccini sviluppati senza alcuna problematicità etica) abbia finito per confermare e corroborare l’intenzione di tanti fedeli “tradizionalisti” a non vaccinarsi se non addirittura a vedere nel vaccino un “battesimo satanico” (Se lo fa quel papa brutto e cattivo, dev’essere per forza una cosa brutta e cattiva!). Semplifico, è evidente. Ma è chiaro che se un animale viene chiuso in gabbia e maltrattato, inevitabilmente si incattivisce. La pressoché ubiqua ostilità verso il mondo tradizionalista è, credo, ciò che più alimenta quegli eccessi, quelle paranoie e quelle reazioni smodate a cui poi troppo facilmente si attaccano gli stessi persecutori. E qui stava, credo, la migliore intuizione di Benedetto XVI in vista della pace liturgica: normalizzando la liturgia tradizionale egli poneva le basi per un discorso più sereno e meno marcato da una (comprensibile) ermeneutica del sospetto. Peccato che ben pochi vescovi lo abbiano seguito su questa strada, soprattutto in Italia.
12. “Giovanni XXII non si era espresso come maestro della fede, ma come dottore privato…”
Senz’altro. E tuttavia, pare, nella sua predicazione ordinaria (mi corregga se sbaglio). Ad ogni modo, ciò bastò perché si creasse una certa resistenza in seno alla curia romana rispetto alle sue proposizioni eterodosse, anche se non ancora formalmente eretiche. Non volevo discettare se si sia trattato di eresia o meno, ma solo segnalare un caso storico in cui effettivamente ci fu una certa resistenza organizzata all’insegnamento di un romano pontefice, sulla scorta di qualcosa di percepito come un depositum dottrinale che si vedeva da questi attaccato, e che ebbe tanto successo da ottenere la resipiscenza del Pontefice. Certo, una resistenza infinitesimale rispetto a quella odierna: ma ogni analogia è utile solo fino a un certo punto (lo stesso varrebbe per il caso della crisi ariana).
13. “So bene che ai passatisti non interessa il rinnovamento ma la Tradizione. L’interesse ad interpretare le esigenze del rinnovamento conciliare è proprio di ogni buon cattolico, il quale su questo punto si fida in linea di principio dell’interpretazione data dal Papa…”
Guardi, questo mio riferimento, come quello successivo relativo alla “Messa tipo”, non voleva essere che una provocazione per segnalare come, paradossalmente, il movimento tradizionalista (pur con i dovuti distinguo e con tutti i suoi limiti) incarni generalmente molto di più le istanze sane dell’ultimo concilio di quanto non lo faccia l’ormai ubiquo lassismo progressista.
Quanto poi all’osservazione che in:
14. “Sacrosanctum Concilium […] sono espresse quelle istanze, esigenze, direttive, che poi hanno portato alla Messa novus ordo del 1970”,
fin troppi sono gli autori che in infinite occasioni hanno segnalato la abissale distanza tra le indicazioni di SC – documento non certo privo di compromessi e ambiguità, va detto – e la successiva rivoluzione liturgica. Credo che a riconoscerlo basterebbe già una lettura intellettualmente onesta della costituzione. Mi limito solo a segnalarle, tra gli infiniti, questo intervento dello stimato Guido Ferro Canale, molto illustrativo anche per quanto riguarda il tema della partecipazione attiva dei fedeli al rito, ben più realizzata oggi nelle messe tradizionali che in quelle N.O.
15. “Le chierichette non sono previste dalle norme liturgiche, è un abuso di alcuni preti che vogliono fare gli originali. Diverso è invece il ministero femminile di Lettrice, regolarmente istituito dalla Chiesa […] Se la Chiesa ha istituito il ministero della Lettrice e non quello delle chierichette, vuol dire che il primo è un’esplicitazione della Tradizione, mentre il secondo è l’invenzione di qualche prete in vena di originalità. Verrà un giorno in cui non si parlerà più di chierichette: ma le donne ministre (non sacerdotesse!) ci saranno fino alla fine del mondo. […] Il ministero della Lettrice non è un «servizio all’altare», che è riservato al sacerdote, ma all’ambone, che è il posto della liturgia della Parola, prima dell’offerta del Sacrificio, che costituisce l’essenziale della Messa”
Caro padre, la invidio per il fatto di non essere super-aggiornato su tutte le follie che promanano da Roma. Spesso penso quanto sarebbe bello poter vivere come un buon cattolico medioevale, senza doversene né potersene curare! Ne guadagnerei certamente in tempo e salute mentale.
Purtroppo, mi incombe di segnalarle che con il Motu proprio Spiritus Domini, Papa Francesco ha preteso di estendere alle donne l’accesso non solo al ministero del lettorato, ma anche dell’accolitato, ovvero del servizio all’altare, da sempre e senza eccezione riservato a uomini come lo volle esser Cristo, Sommo ed Eterno Sacerdote. Insomma, Francesco ha istituzionalizzato le chierichette! Cosa ancor più grave, se si parte da una visione degli ordini minori non superficiale e svilente come quella di Ministeria Quaedam di Paolo VI.
Mi permetto appena di segnalarle che il ruolo che assegna al canto/lettura della Scrittura nell’ambito della Sacra Liturgia appare, a prima vista, eccessivamente riduttivo. Qualcuno ha parlato di “riduzionismo neo-scolastico” in riferimento a questa vivisezione del rito complessivo nelle sue componenti: pochissime essenziali, altre serenamente scartabili. Utile forse dal punto di vista descrittivo/teologico-sacramentale, ma deleterio dal punto di vista della scienza liturgica. Purtroppo tale distorsione è alimentata dal fastidioso didatticismo del lezionario postconciliare, che ammucchia pagine su pagine di Sacra Scrittura, tra l’altro dimenticando la potente pedagogia di un lezionario ciclico annuale: effetto finale è che la presenza della Sacra Scrittura nella Messa N.O. si risolve, nel migliore dei casi, nello spunto per una lezioncina di catechismo raffazzonata nell’omelia. Nulla di più lontano della concezione tradizionale (comune all’occidente e all’oriente) della presenza della Sacra Scrittura nel rito della Messa, a farne parte integrante con funzione, se è lecito così dire, di sacramentale.
Per approfondire.
16. “Nessuno ha detto che la Comunione in bocca è cosa superata”
Felice di vederla riconsiderare quanto detto, perché in realtà nel suo intervento annoverava tra le tradizioni che, al vaglio del Magistero, si sono rivelate superate, proprio la Comunione in bocca. Riconoscerà che la comunione nella mano per come la si pratica oggi – è stata più correttamente definita “comunione digitale” (prendere la santa particola con le dita più o meno come lo si farebbe con una patatina) – è qualcosa che, oltre a non essersi mai visto in tutta la storia della Chiesa e ad essere il principale imputato della dissoluzione della pietà eucaristica, avrebbe fatto ribrezzo allo stesso Martin Lutero: vedi qui.
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Giovane cultore amatoriale delle materie teologiche, l’incontro con la S. Messa in rito romano antico mi ha portato ad approfondire lo studio delle scienze liturgiche. Collaboro con il prof. P.A. Kwasniewski, prolifico apologeta del mondo tradizionalista anglofono, per la traduzione di diversi articoli, conferenze e saggi di quest’ultimo, a beneficio del pubblico italiano (apparsi in passato, tra gli altri, su Stilum Curiae, Messainlatino, Chiesaepostconcilio).