È interessante cercare di osservare con occhio disincantato quanto ci succede intorno, per quello che è possibile. Certo in questo ultimo anno siamo stati così coinvolti nelle vicende sanitarie che è difficile estraniarsi dal mondo circostante, ma per quello che ci riesce di farlo, è uno sforzo che che vale la pena compiere.
Una riflessione sul mondo circostante mi è stata dettata dalla lettura di un interessante raccolta di saggi di Aldo Natale Terrin, storico delle religioni, una raccolta riunita in un libro dal titolo Il sacro off limits. In uno di questi saggi dal titolo Salute e salvezza. Riflessione fenomenologica sul compito terapeutico delle religioni, egli osserva un fenomeno che ci sembra oggi molto attuale, pur se il suo libro è del 1994. Questo fenomeno è il legame tra religione e malattia, tra fede e guarigione.
Oggi ci sembra che queste due dimensioni siano separate, anzi che le esigenze del corpo debbano sempre prevalere su quelle dello spirito. Lo studioso dice:
“Soltanto la religione cristiana - più legata al “progresso tecnologico” dell’occidente e succube della dicotomia corpo/spirito - si è lasciata portare presto da altri principi e ha forse negletto troppo in fretta il compito terapeutico, che le era stato affidato in parallelo con la missione stessa di evangelizzare, limitandosi a pensare alla “salvezza dell’anima” e lasciando invece alla medicina di curare il corpo e tutte le malattie, considerate soltanto e in maniera corriva come un incidente dell’organismo umano, del corpo, omologato a sua volta a una semplice “macchina” in grado di guastarsi. Ma le malattie sono soltanto fatti fisiologici, sono patologie dell’organismo o non sono manifestazioni di qualche cosa di più complesso che viene a mancare e non evidenziano forse una disarmonia globale del soggetto umano che coinvolge tutta la persona?“.
Questa osservazione mi sembra molto importante e ci fa ripensare il nostro approccio al rapporto corpo/spirito. Se non c’è spirito, se tutto è corpo, allora l’approccio meccanicistico sembra l’unico ragionevole. Mi sono occupato di questo tema in un mio libro, Sia l’uomo la tua frontiera (Sugarco) in cui affronto proprio questo aspetto della separazione fra medicina e spirito.
Aldo Natale Terrin ci dice che salute e salvezza sono termini che hanno una stessa origine e che condividevano lo stesso significato, separato soltanto più tardi. In latino abbiamo salus, che in effetti tocca entrambi gli aspetti del corpo e dello spirito. Ma non solo: ci dice Terrin che
“a questa visione presta soccorso nella storia delle religioni anche il termine terapia che non è affatto un termine medico ma anzitutto “religioso”. Nella concezione classica degli antichi il concetto therapeía indica anzitutto “un assistere”, uno “stare vicino”, un “prendersi cura” e si tratta di un termine che è molto vicino al concetto religioso e cristiano di diakonia”.
Ricordiamo quanto ci dice Mario Arturo Iannaccone parlando della nascita degli ospedali nel Dizionario elementare di apologetica, cioè che essi furono portati avanti in seno al cristianesimo e che molti chirurghi erano anche dei chierici. Ricordiamo che nelle rogazioni, che erano una cerimonia per impetrare la protezione di Dio contro i flagelli e per proteggere i raccolti, si chiedeva che “a peste, fame et bello, libera nos Domine”.
Insomma, si credeva che effettivamente esisteva una dimensione unica dell’essere umano di cui la Chiesa doveva occuparsi. Ricordiamo il bel dipinto del pittore Carlo Saraceni, “San Carlo Borromeo comunica un appestato”, in cui si vede il santo che con altri chierici si avvicinano al letto di un malato di peste per portargli l’eucarestia. Ora, nessuno avrebbe consigliato ai nostri tempi ad un sacerdote di avvicinarsi ad un malato di covid senza le opportune protezioni, ma ancora crediamo che lo spirito è superiore alla materia? Paolo VI, nella sua allocuzione conclusiva del Concilio Vaticano II (7 dicembre 1965) diceva che “per conoscere l’uomo, l’uomo vero, l’uomo integrale, bisogna conoscere Dio”. Ma sembra oggi che divinizziamo l’umano.
La pandemia di covid ci ha mostrato con ancora più forza a quale livello sia la crisi della fede, una fede che oramai sembra debitrice della scienza e non il contrario. Sembra di ascoltare il grido di Herman Hesse:
“Non ho mai vissuto senza religione e non potrei mai vivere un singolo giorno senza di essa. Ma per tutta la mia vita ho fatto a meno della Chiesa. Questa ammirevole chiesa cattolica è ai miei occhi degna di riverenza soltanto da lontano. Non appena mi avvicino odora, come tutte le istituzioni umane, di un forte odore di sangue, potere, politica e perdita di individualità. Io credo in una indistruttibile religione che è oltre, dentro e sopra le creature”.
La Chiesa è divenuta oramai irrilevante. Eugenio Scalfari diceva:
“Anche la scienza, a differenza della filosofia, cerca la verità ultima, non maneggiando idee, concetti, parole, ma usando numeri, formule, equazioni, potenze. La scommessa della scienza è di scoprire la chiave capace di aprire tutte le porte, fino all’ultima che custodisce il numero d’oro, la formula finale, la legge che chiarisce e svela l’ultima incognita. Ecco perché la Chiesa non si sente insidiata dalla scienza: perseguono infatti lo stesso obiettivo”.
Ma, come gli ribatteva Roberto Buffagni nel Dizionario elementare del pensiero pericoloso, la verità, specie la verità ultima, è termine filosofico e non è oggetto della investigazione scientifica che si occupa di certezze verificabili.
Insomma, la Chiesa ha appaltato alla scienza la risposta ultima ai nostri perché? Nella Fides et Ratio (1998) Giovanni Paolo II esordiva: “La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s'innalza verso la contemplazione della verità”. Risuona con sempre più forza quanto Gesù dice: “Che giova infatti all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?”. Ci sembra che oggi l’anima, lo spirito, siano concetti utili per alimentare un mercato fiorente di filosofie e religioni alternative ma che esse abbiano perso il loro posto d’onore, come fondamento cristiano, nel cuore della nostra civiltà.