Quando parliamo di “tradizioni esecutive” nel campo musicale, stiamo parlando di qualcosa di molto importante. Pensiamo in questo senso anche alle tradizioni artistiche in altri campi, come quello teatrale.
Non si riflette molto sull’importanza che ha la famiglia non solo nella trasmissione di certi valori morali, ma in alcuni casi anche nella trasmissione di importanti tradizioni artistiche. Non diminuiamo l’importanza di quest’ultime, perché l’arte è cultura, e la cultura è quello che siamo, quello che ci distingue dagli animali, quello che anche ci permette di elevarci alle cose superiori. Mi viene da pensare questo riflettendo sui più di 110 anni dalla nascita di Pupella Maggio (24 aprile 1910-8 dicembre 1999), grande artista napoletana e parte di una famiglia di artisti molto celebre un tempo, come quella dei Maggio. I genitori di Pupella, come i fratelli (aveva avuto 15 fra fratelli e sorelle, anche se non tutti sopravvissero fino all’età adulta), furono teatranti e poi attori di cinema (pensiamo a Rosalia, Dante, Beniamino ed altri). Pupella fu una delle attrici preferite di Eduardo de Filippo, altro membro di una grandissima famiglia di teatranti, insieme al suo fratello Peppino e alla sorella Titina, a loro volta figli illegittimi del grande attore e commediografo Eduardo Scarpetta e genitori di grandi continuatori della tradizione familiare, oggi a loro volta scomparsi, come Luca de Filippo (figlio di Eduardo) e Luigi de Filippo (figlio di Peppino). Le vite di molti di questi attori non sono sempre stare esemplari, ma mi piace riportare questa osservazione fatta proprio su Eduardo de Filippo da parte di Corrado Gnerre su itresentieri.it: “Eduardo De Filippo ebbe in vita le sue debolezze. Politicamente, poi, non ebbe idee chiare, tant’è che quando fu nominato senatore a vita, decise di sedere tra i banchi della Sinistra Indipendente. Anche se alcune testimonianze ci dicono che quando ci fu il pericolo comunista, votava DC, turandosi il naso o meno, non lo sappiamo. Ma il suo teatro è pieno di sana religiosità. D’altronde volendo egli esprimere la napoletanità non poteva non sottolinearne anche l’anima profondamente religiosa. Ci piace pensare (e sperare) che la sua anima, dinanzi al Signore per essere giudicata, abbia beneficiato di grande misericordia. Lo speriamo perché il Signore non può non aver tenuto conto di un monologo-capolavoro che egli scrisse in Filumena Marturano. Un monologo che certamente avrà salvato chissà quanti bambini, ascoltato e apprezzato da tante donne incinte che stavano pensando o avrebbero pensato a “soluzioni” terribili”. Io penso che questa “corrente familiare”, questa tradizione artistica, se non salvava questi grandi personaggi dalla corruzione morale (che tutti ci riguarda) li rendeva almeno strumenti di bene per gli altri.
Un articolo di Silvia Iannelli su persinsala.it così dice di Pupella Maggio: “Figlia d’arte – discendente di Antonio Petito (storico interprete di Pulcinella e drammaturgo) – calcò da bambina le tavole del palcoscenico insieme ai genitori, uno stimato capocomico e un’attrice di origini circensi, e ai tanti fratelli e sorelle; nella sua autobiografia “Poca luce in tanto spazio” (1997), scritta con un editore di Todi (divenuta sua città di adozione) e vivace testimonianza del teatro napoletano del ‘900, raccontando la sua nascita nel camerino del Teatro Orfeo così scriveva: «A due anni mi portarono in scena dentro uno scatolone legata proprio come una bambola perché non scivolassi fuori. E così il mio destino fu segnato. Da “Pupatella”… divenni per tutti “Pupella” nel teatro e nella vita…» (e una sua poesia così recitava: «Songo brutta e nun so bella / chesta so: ‘na cartuscella. / ‘na palomma co’ ‘na scella / e me chiammano Pupella»)“.
A me sembra molto bella l’immagine della famiglia come “luogo della tradizione”, che essa sia artistica o di altro tipo. In effetti noi sappiamo come la famiglia sia il luogo per eccellenza dove si trasmette la fede, il bene più prezioso per un cristiano. Le famiglie sono state sempre imperfette, perché fatte da esseri umani. Ma il dramma è stato quando da imperfette, per via della disgregazione in atto negli ultimi decenni, esse sono divenute sterili.
Ecco, queste tradizioni esistevano anche nel campo musicale, pensiamo alla famiglia Bach o a tante altre famiglie di artisti in cui si tramandava, oltre che a valori morali, anche una sapienza che veniva dal tempo passato. Questa è l’importanza della scuola, non intesa come scolarizzazione ma come vera e profonda educazione che prescinde da diplomi e lauree. Questo senso tradizionale della scuola lo abbiamo perso, forse per sempre.