Come molti, osservo la Chiesa cattolica perché sono cattolico e anche perché è un fenomeno culturale interessante. Cercando di essere obiettivo, ho cercato di leggere sempre “da dentro” i fenomeni e gli eventi degli ultimi decenni (ma anche secoli) per capire le ragioni di quella che a destra e a sinistra può essere definita una crisi. Qualche tempo fa ne parlavo con un dotto padre servita, recentemente scomparso, che di certo non poteva essere tacciato di conservatorismo. Lui non negava la crisi, del resto ci sono dati evidenti, troppo evidenti, per negarla. Ma diceva che era una crisi di tutte le religioni. Di certo lui non pensava che il tradizionalismo fosse una soluzione a questa crisi.
Eppure l’accorpamento di diocesi, la chiusura delle chiese o la loro destinazione ad altro uso, il calo dei fedeli alle celebrazioni liturgiche, l’evidente stato di abbandono della stessa liturgia, raramente curata come dovrebbe, le parrocchie spesso carenti di fedeli, ci fanno capire che siamo di fronte ad un cambiamento di paradigma, che forse non si comprende dall’interno della Chiesa stessa ma bisogna fare uno sforzo per guardare tutto dall’alto.
Io ho cominciato ad avere dei pensieri su questo quando ho notato, ad esempio, che nel mio condominio una buona parte degli inquilini non era interessata a ricevere la benedizione pasquale per le case e il sacerdote inviato, poveretto, sembrava più un rappresentante di un’agenzia immobiliare che cercava di farsi aprire che un ministro di Dio, che si presupponeva essere benvenuto.
Nel 1969 un giovane teologo di nome Joseph Ratzinger diceva alla radio tedesca: “Avremo presto, preti ridotti al ruolo di assistenti sociali e il messaggio di fede ridotto a visione politica. Tutto sembrerà perduto, ma al momento opportuno, proprio nella fase più drammatica della crisi, la Chiesa rinascerà. Sarà più piccola, più povera, quasi catacombale, ma anche più santa. Perché non sarà più la Chiesa di chi cerca di piacere al mondo, ma la Chiesa dei fedeli a Dio e alla sua legge eterna. La rinascita sarà opera di un piccolo resto, apparentemente insignificante eppure indomito, passato attraverso un processo di purificazione. Perché è così che opera Dio. Contro il male, resiste un piccolo gregge”. È una profezia impressionante nella sua lucidità e spietatezza, che già nell’immediato dopo concilio leggeva i tempi a venire con sorprendente lungimiranza. La Chiesa non sarebbe stata più la stessa. Ci sarà un cambio di paradigma. E lo preannuncia anche come una crisi al cuore della Chiesa con preti a fare da assistenti sociali e il messaggio di fede ridotto a visione (socio)politica piuttosto che a messaggio spirituale di salvezza.
Io cito sempre un passaggio che mi piace molto di Romano Amerio in cui dice: “E qui conviene formulare la legge stessa della conservazione storica della Chiesa, legge che è insieme il criterio supremo della sua apologetica. La Chiesa è fondata sul Verbo incarnato, cioè su una verità divina rivelata. Certo le sono date anche le energie sufficienti a pareggiare la propria vita a quella verità: che la virtù sia possibile in ogni momento è un dogma di fede. La Chiesa però non va perduta nel caso che non pareggiasse la verità, ma nel caso che perdesse la verità. La Chiesa peregrinante è da sé stessa, per così dire, condannata alla defezione pratica e alla penitenza: oggi la si dice in atto di continua conversione. Ma essa si perde non quando le umane infermità la mettono in contraddizione (questa contraddizione è inerente allo stato peregrinale), ma solo quando la corruzione pratica si alza tanto da intaccare il dogma e da formulare in proposizioni teoretiche le depravazioni che si trovano nella vita”. E su questo bisognerebbe interrogarsi, da destra e da sinistra, dall’alto e dal basso, su quanto la Chiesa ancora si tenga stretta la sua verità. Romano Amerio ancora dice: “Ci furono in passato altri schemi in cui questa riordinazione è tenuta come un evento della storia terrena e un’instaurazione del regno dello Spirito Santo, ma tali schemi appartengono alle deviazioni ereticali. La Chiesa diviene, ma non muta. Non si dà in essa novità radicale. Il cielo nuovo e la terra nuova, la nuova Gerusalemme, il cantico nuovo, il nome nuovo di Dio medesimo non sono realtà della storia del mondo, ma del sopramondo. Il tentativo di spingere il Cristianesimo oltre sé stesso fino a «une forme inconnue de religion, une religion que personne ne pouvait imaginer et décrire jusqu’ici», come non teme di scrivere Teilhard de Chardin, è un paralogismo e un errore religioso. È un paralogismo, perché se la religione cristiana ha da mutarsi da tutt’altro in tutt’altro da sé, diviene impossibile dare alle proposizioni del discorso l’identico soggetto e perisce la continuità tra la presente Chiesa e la futura. È un errore religioso, perché il regno che non si origina da questo mondo conosce mutazioni nel tempo, che è una categoria accidentale, ma non già nella sostanza. Di questa sostanza «iota unum non praeteribit». Nemmeno uno iota muterà. Teilhard non può preconizzare un andare del Cristianesimo oltre sé stesso, se non perché dimentica che andare oltre sé stesso, cioè passare il limite (ultima linea mors) significa morire e che così il Cristianesimo dovrebbe morire, anzi morire per non morire”. Bisognerebbe interrogarsi su quanto la Chiesa ha inteso andare oltre sè stessa in questi ultimi decenni. Sempre Amerio ci dice che la Chiesa non può mutare sostanzialmente: “In OR del 23 luglio 1972, introducendo un’altra analogia poetica, si scrive che gli attuali gemiti della Chiesa non sono i gemiti di un’agonia, ma quelli di un parto, quando sta per venire al mondo un essere nuovo, cioè una nuova Chiesa. Ma può nascere una Chiesa nuova? Qui nell’invoglio di poetiche metafore e nel miscuglio dei concetti, si cela l’idea di cosa impossibile ad avvenire secondo il sistema cattolico, l’idea cioè che il divenire storico della Chiesa possa essere un divenire di fondo, una mutazione sostanziale, un trasferirsi da tutt’altra in tutt’altra. Secondo il sistema cattolico invece il divenire della Chiesa consta di una vicissitudine in cui cangiano le accidentali forme e le storiche congiunture, serbandosi identica e senza novazione la sostanza della religione. La sola novazione che l’ecclesiologia ortodossa conosca è la novazione escatologica con nuova terra e nuovo cielo, cioè la finale ed eterna riordinazione dell’universa creatura, liberata dall’imperfezione, non del limite, ma del peccato, mediante la giustizia delle giustizie nella vita eterna”. Eppure oggi abbiamo gran parte dei fedeli (e dei preti e Vescovi) che ignorano la tradizione liturgica, disciplinare, teologica, artistica, spirituale della Chiesa e, se la conoscono, sono stati educati quasi a disprezzarla o a sovrainterpretarla.
Cosa succede alla Chiesa? Il teologo Henri de Lubac dice: “Era quella fede perfetta ed «inalterabile», quella fede «sempre piena», «sempre uguale, sempre serena», quella fede perseverante, incrollabile come la croce di Cristo, che non è mai scossa da nessuno scandalo, mai «esitante o dubbiosa», mai sonnecchiante, quella fede vivente e «vivificante», che fruttifica nel mondo intero, alla quale si accende e nella quale si inserisce la fede di ogni individuo venendone nutrita e corroborata, cosicché quando uno di noi dice «Io credo in Dio», è sempre della Chiesa che egli parla. «La professione di fede nel simbolo si pronuncia sempre in nome di tutta la Chiesa». È questa la ragione per cui anche chi possiede soltanto una fede «informe», per quanto sia lontano dalle disposizioni descritte nel testo riportato di Fausto di Riez, può ancora dire, e con verità, di credere: lo può dire a motivo della sua perdurante appartenenza alla Chiesa, che gli permette di parlare in persona Ecclesiae; mentre al contrario, colui che volontariamente se ne separa, non ha più una fede valida. Così pure, la nostra predestinazione nel Cristo è la predestinazione della Chiesa: san Paolo l’ha sempre considerata in questa prospettiva totale. In tutte le sue attività soprannaturali il cristiano agisce sempre «ut membrum Ecclesiae», «ut pars Ecclesiae». Gesù Cristo ci ama singolarmente; ad ognuno Egli dice come a Mosè: «Ti ho conosciuto per nome», ma non ci ama separatamente: ci ama nella sua Chiesa, per la quale ha versato il suo sangue. Il nostro destino personale, infine, non può compiersi che nella salvezza comune della Chiesa, «Madre dell’unità»”. Ma oggi qual è la fede della Chiesa? Molti se lo domandano. Siamo in difficoltà quando contempliamo la Chiesa oggi e de Lubac lo sapeva bene: “Contemplare senza scandalo la Chiesa è cosa assai più ardua che contemplare senza scandalo il Cristo: quale profonda purificazione e trasformazione dello sguardo essa esige!”. Allora dobbiamo cercare questa purificazione e trasformazione dello sguardo. Ma forse il risultato sarebbe quello preconizzato da Ratzinger e la domanda allora è: il piccolo resto, che consentirà la sopravvivenza della Chiesa, è già tra noi?