Abbiamo visto in precedenza come il concetto di tradizione si oppone a quello di rivoluzione. Eppure alcuni parlano di un movimento chiamato “rivoluzione conservatrice”, che fu particolarmente attivo nella Germania pre nazista. Cosa è la rivoluzione conservatrice? Uno dei maggiori conoscitori di questo fenomeno, Marcello Veneziani, nel suo libro del 2012 La rivoluzione conservatrice in Italia, così spiega: “Il rivoluzionario conservatore, a differenza del reazionario, del tradizionalista e del conservatore puro, non esprime il rifiuto della modernità, ma vive fino in fondo la rottura tra passato e presente; egli non mira a difendere il passato assestandosi tra i suoi residui e le sue vestigia, né cerca di “ricomporre l’infranto” secondo un’efficace espressione di Walter Benjamin. Egli intende piuttosto rinvenire i valori tradizionali nell’avvenire, ridare origine attraverso un nuovo ciclo, analogico rispetto al passato ma pur sempre nuovo nelle forme e nei problemi che investe. Il rivoluzionario conservatore si rende conto di vivere in uno scenario mutato e davanti a temi inediti ed esigenze inesplorate nel passato; così come, dall’altra parte, è consapevole che nessuna rivoluzione può sperare di insediarsi sul radicalmente diverso, sulla novità assoluta, perché non avrebbe un terreno su cui poggiare, una lingua con cui trasmettere, una legittimità da invocare”. A me sembra che questo concetto, così espresso, in realtà non si discosti da quello che anche un tradizionalista dovrebbe saper e poter difendere. In effetti il vero tradizionalista non è e non deve essere colui che è abbarbicato al passato, anzi. Questa credo sia uno dei maggiori fraintendimenti che ci è dato di riscontrare.
La tradizione non è rifiuto dell’avvenire ma è una immersione più profonda in esso, proprio perché proviene dalla spinta poderosa dell’origine. La tradizione non rinnega l’avvenire e quello che di nuovo e di bello vi è in esso, ma gli dà un senso perenne. Il vero tradizionalista non vive nel passato, ma vive nell’eterno e quindi immagino che la descrizione riportata sopra dal libro di Veneziani gli si adatterebbe benissimo. Certo, non bisogna pensare che allora bisogna prendere la rivoluzione conservatrice così come viene, perché essa presenta anche lati che, per un tradizionalista di ispirazione cattolica, sono più che discutibili. Giovanni Balducci (barbadillo.it) ci offre questa descrizione: “Il pensiero dei rivoluzionario-conservatori vedeva la sua elaborazione e si diffondeva in circoli, cenacoli letterari, partiti, associazioni legate ai Freikorps, società segrete a carattere esoterico (si ricordi la Thule Gesellschaft). Da un punto di vista strettamente politico, al centro delle idee che facevano capo alla rivoluzione conservatrice, v’era innanzitutto una forte avversione verso il progressismo positivista, la demonìa capitalista, l’egualitarismo di matrice giacobina, e lo spettro comunista, cui i teorici della Konservative Revolution opponevano l’idea di una rivoluzione, da intendersi, com’ebbe a chiarire Julius Evola, nella doppia accezione «di una rivolta contro un dato stato di fatto» e «di un ritorno, di una conversione – per cui nell’antico linguaggio astronomico la rivoluzione di un astro significava il suo ritorno al punto di partenza e il suo moto ordinato intorno ad un centro». L’intento dei rivoluzionario-conservatori era infatti quello di opporsi al “tramonto dell’Occidente”, restaurando l’ordine tradizionale: «fare tabula rasa delle rovine del XIX secolo e a stabilire un nuovo ordine di vita». Può dirsi che la Rivoluzione conservatrice tedesca abbia rappresentato il fertile terreno culturale da cui germinò il movimento nazionalsocialista. Tuttavia, dopo il 1933 solo alcuni sostenitori della Konservative Revolution aderirono al nazismo (è il caso di Carl Schmitt), mentre altri esponenti ne presero le distanze, ritirandosi (come Gottfried Benn) o diventandone oppositori (come Thomas Mann)”. Insomma, tutto questo cincischiare con l’esoterismo non si adatta certamente ad un tradizionalista che vuole dirsi anche cattolico.
Eppure nella rivoluzione conservatrice ci sono anche fermenti molto interessanti. Nella descrizione del libro Quattro figure della Rivoluzione Conservatrice tedesca di Alain de Benoist ci viene detto: “La Rivoluzione Conservatrice ha anticipato molti temi che oggi sono all’ordine del giorno: l’ossessione del rendimento che sfinisce il mondo, la degradazione della volontà di superarsi in produttivismo sfrenato, il trionfo della crescita senza limiti, l’asservimento dell’opinione pubblica e l’alienazione delle coscienze. La grande lezione che viene dalla Rivoluzione Conservatrice sta proprio in quella critica frontale all’economia pervasiva che, con l’ossessione del denaro e della produzione, vorrebbe trasformare il mondo con un livellamento egualitario, disfarsi dei legami organici e delle strutture differenziate e cedere progressivamente spazio all’utilitarismo e all’egoismo individuale, all’urbanizzazione selvaggia, alla deruralizzazione, all’anonimato di massa. Il liberalismo mina le culture, distrugge le religioni, disintegra le patrie: è l’espressione di una società che non è più comunità. Il liberalismo non esprime una società organizzata ma una società già dissolta. In questo “deserto” dell’economia moderna, ogni lavoratore deve lasciare la sua anima nello spogliatoio quando entra in una grande fabbrica burocratizzata. La prospettiva è sempre e ancora la deindustrializzazione, il ritorno alla terra, la sovranità politica ed economica, l’adozione di un modo di vita spontaneo. Il contadino deve tornare a essere un elemento di conservazione dello Stato. Il presupposto è che l’uomo sia legato alla terra e che questo legame sia la “legge” suprema. Il rivoluzionario-conservatore non vive più nel futuro come il progressista, né soltanto nel passato come il reazionario. Egli vive nel presente, dove riconosce la potenza mediatrice che trasmette il passato all’avvenire. Ha dalla sua l’eternità”. Insomma, ci sembra che la rivoluzione conservatrice dia alcune risposte certamente interessanti, ma il problema è che gli sfuggono alcune domande altrettanto essenziali. Eppure questa enfasi nel presente è comunque importante, perché per me il vero tradizionalista è quello che sa fecondare il presente con i semi dell’eterno, non chi rimpiange un passato che non può tornare.
Qui forse sarà il caso di concludere con un inciso importante. È certamente vero che che il concetto di tradizione è molto più ampio di quello di tradizione cattolica. E ci sono tanti fermenti interessantissimi anche all’esterno dell’alveo cattolico. Ecco perché non sarà male dare uno sguardo anche a quello che succede al di fuori, non dimenticando però che se questo offre delle opportunità, offre anche dei pericoli che non vanno di certo sottovalutati.