In un tempo di diffuso misericordismo certamente suonerà stridente un sonetto del 1838 dell’”anticlericale” Giuseppe Gioachino Belli chiamato Li rivortosi, in cui il poeta assume un atteggiamento tutt’altro che accomodante verso coloro che attaccavano la Chiesa, una Chiesa di cui lui è comunque critico feroce:
Chiameli allibberàli o fframmasoni,
O ccarbonari, è ssempre una pappina:
È ssempre canajjaccia ggiacubbina
Da levàssela for de li cojjoni.
E ppe Ppapi io vorìa tanti Neroni
Che la mannàra de la quajjottina
Fascéssino arrotalla oggni matina
Acciò er zangue curressi a ffuntanoni.
Tu accèttua noantri in camisciola
E li preti e li frati, er rimanente
Vacce a la sceca e sségheje la gola.
Perché è mmejjo a scannà cquarch'innoscente,
De quer che ssia c'una caroggna sola
Resti in ner monno a impuzzolì la ggente.
In questo sonetto non percepisco l’ironia che solitamente pervade i sonetti del nostro, ma anzi c’è quasi una rabbia che suggerisce dei versi anche crudi, feroci, quasi crudeli, con l’augurarsi che i Papi fossero tanti Neroni che ogni mattina facessero sentire la mannaia della ghigliottina e facendo scorrere il sangue a fiumi. Anzi addirittura dice di andare quasi alla cieca nel fare giustizia perché meglio che muoia qualche innocente che una sola carogna rimanga ad impuzzolire il mondo.
Ora, io non aderisco all’estremismo belliano ovviamente, però penso che la misericordia senza giustizia non è più misericordia. Chi oppone la Chiesa deve essere punito, non come ai tempi del Belli, ma segnalando al popolo cattolico che quella certa persona non è da seguire.
Questo bel sonetto mi dà da pensare alla presunzione di innocenza, principio imprescindibile per ogni sistema penale moderno.
Esso si incardina sull'idea, opposta a quella qua proposta (forse con iperbole) dal Belli: meglio cento criminali in libertà che un innocente in prigione.
Lei, Maestro, sa qual è l'approccio della dottrina tradizionale sul punto (o comunque l'idea di pensatori cattolici e/o tradizionalisti)?