Gli articoli di padre Giovanni Cavalcoli su san Tommaso e la tradizione hanno suscitato varie reazioni, anche negative. Padre Cavalcoli ha voluto rispondere ad un lettore, Carlo Schena, e noi diamo spazio alla prima parte della sua replica.
Caro Carlo, rispondo per partes al suo intervento.
1.Attendevo con grandi aspettative questo intervento! Sia detto con rispetto, ma per ora sembrano i soliti (e un po’ ritriti) argomenti di Padre Cavalcoli per cui la tradizione è, in definitiva, quel cavolo che vuole il papa di turno. Con buona pace del principio di non contraddizione.
Risposta. Un linguaggio così volgare non si confà ad un periodico che intenda trattare seriamente di cose di Chiesa, soprattutto poi se la persona colpita è il Santo Padre. Ho già spiegato con chiarezza che cosa è la Sacra Tradizione alla luce del dogma e della dottrina della Chiesa, per cui La invito a rileggere quello che ho scritto dove troverà la riposta alla sua accusa fatta a Papa Francesco di manipolare la Sacra Tradizione.
Ripeto comunque qui quello che ho già detto. Le ricordo anzitutto la differenza fra Sacra Tradizione e tradizioni ecclesiali. Mentre per la custodia della prima il Papa fruisce di un carisma di infallibilità in forza dell’ufficio petrino, in quanto conservatore del deposito rivelato, mentre i contenuti della Sacra Tradizione sono verità di fede e dottrine dogmatiche immutabili, contenuti delle tradizioni ecclesiali sono di vario genere e possono essere introdotti, mutati o abrogati per autorità del Successore di Pietro, ove a suo prudente giudizio lo giudichi opportuno, conveniente o necessario per il bene della Chiesa. Su questo piano il Papa non è infallibile, ma esige sempre obbedienza dai fedeli, perché è impensabile che comandi un peccato o proibisca un dovere, nel qual caso soltanto il fedele sarebbe dispensato dall’obbedire.
Le tradizioni ecclesiali sono di vario genere, sempre comunque attinenti alla prassi e non alla dottrina della fede: culturali, letterarie, canoniche, liturgiche, pastorali, spirituali, popolari, consuetudinarie, storiche, agiografiche, artistiche.
Importante è il rapporto fa Tradizione e Magistero pontificio. I contenuti di questo Magistero sono gli stessi della Sacra Tradizione e delle tradizioni ecclesiali, insieme con gli insegnamenti della Sacra Scrittura, con l’aggiunta di quanto di nuovo ogni Papa intende eventualmente aggiungere per spiegare, illustrare, esplicitare ed applicare nelle varie circostanze il contenuto della Tradizione.
2. Mi piacerebbe piuttosto vedere come il Padre si pone rispetto a tanti contributi al discorso emersi negli ultimi anni, invece di arroccarsi nella sterile contrapposizione tra progressisti e lefebvriani, alla ricerca di una sintesi già provata e già sconfitta dalla storia (ratzingerismo).
Risposta. La contrapposizione fra modernisti e passatisti è il fenomeno sociologico più rilevante, più grave, significativo e lacerante sulla scena ecclesiale da 60 (io ho 80 anni e lo sto sperimentando sulla mia pelle da quando avevo 20 anni), un fenomeno che sta diventando sempre meno tollerabile e al quale con sempre maggiore urgenza occorre trovare un rimedio.
La sintesi ratzingeriana (progresso nella continuità) è quella giusta e va assolutamente ripresa. Dispiace che Francesco non sia stato capace di riprenderla per la sua mancanza di imparzialità, essendo troppo indulgente verso i modernisti e troppo severo contro i passatisti.
Senza dubbio l’attuale cammino sinodale è stato voluto dal Papa per ottenere unità, pace, riconciliazione e concordia nella verità e nella diversità, onde sanare questo conflitto che è sotto gli occhi di tutti gli osservatori, dentro e fuori la Chiesa. Occorre che le due parti la smettano di turbare i buoni cattolici col cercare di attirali dalla loro parte e mettendoli gli uni contro gli altri; gli uni strumentalizzando gi insegnamenti del Papa per i loro piani sovversivi, gli altri accanendosi contro il Papa con l’accusa di tradire la Tradizione.
Bisogna che le due parti facciano uno sforzo di mutua comprensione e di dialogo, comprendendo che per le qualità proprie di ciascuna parte (conservazione e progresso) sono fatte per completarsi a vicenda, entrambe indispensabili al buon andamento della Chiesa nella fedeltà all’immutabile Parola di Dio e nella crescita nella santità.
3. Ad esempio, qualcuno ha acutamente descritto il fenomeno della “Tradizione divorata dal magistero”, questo appiattimento della prima sul secondo che il Padre dà così per scontato da farne quasi una dottrina di fede.
Si veda, ad esempio: https://www.aldomariavalli.it/2021/08/16/cosi-la-tradizione-e-stata-divorata-dal-magistero/?utm_source=pocket_mylist
Risposta: L’accusare il Magistero di aver «divorato la Tradizione» è l’accusa di chi non ha capito niente della funzione del Magistero, che è proprio quella di conservare, custodire ed interpretare la Tradizione rettamente intesa, ossia come lo stesso Magistero la intende. Credere che il Concilio o la Messa novus ordo abbiano tradito la Tradizione vuol dire, come dice Papa Francesco, restare fermi nel passato, essere dei passatisti, e chiusi alla novità dello Spirito Santo.
4. Sarò curioso di vedere come, da domenicano, argomenta la sua curiosa regola ermeneutica a partire da S. Tommaso. Mi chiedo se, da padre dell’ordine dei predicatori, si sia mai accorto di quanto correttamente segnalava l’autore di cui sopra: “Per san Tommaso non esiste la prova del Magistero; per lui [le] auctoritates sono la Scrittura e i Padri. Raramente nomina i Papi o i Concili”.
Risposta. Falso. Conosco S.Tommaso da 60 anni e so benissimo come stanno e cose. Tommaso in molte occasioni, nel dimostrare che una proposizione è di fede, cita sentenze di Papi. In particolare nel mio articolo ho detto che Tommaso riconosce il diritto esclusivo del Papa a introdurre un nuovo articolo nel Simbolo della fede e di definire che cosa è o non è di fede.
Il fatto è che ai tempi di Tommaso non esisteva ancora il trattato teologico De Traditione, il quale nasce solo con la Riforma tridentina per opera del grande teologo spagnolo Melchior Cano, in risposta alla negazione luterana della Sacra Tradizione, che Lutero riduceva alle temporanee e caduche tradizioni ecclesiastiche o popolari più o meno spurie.
In Tommaso la percezione e il rispetto per la Sacra Tradizione si vedono dall’attenzione che presta ai decreti dei Concili e dei Papi e all’insegnamento dei Padri. È interessante come sa fare una cernita fra tradizioni autentiche e tradizioni spurie ed assai difficilmente assume qualche tradizione infondata. La stessa legislazione canonica, in quanto fondata sul Vangelo e sui decreti dei Papi e dei Concili, la vede di fatto anche se non ce lo dice, come testimone della Tradizione.
I Medioevali conoscevano bene che cosa è la Tradizione qual è il deposito della Tradizione; ma non pensavano ad averne un concetto riflesso, sistematico e scientifico. Ciò era pericoloso perché l’uomo medioevale, a differenza del moderno al quale piace la rivoluzione, è istintivamente tradizionalista, per cui è portato ad accumulare le tradizioni, anche inutili e sorpassate, ma bastava che fossero tradizionali, perché venissero conservate. Pensiamo solo alla storia de progresso tecnologico: per secoli e millenni l’uomo si è servita pressoché sempre degli stessi mezzi di trasporto, di cura, di comunicazione o di coltivazione o di edificazione. A parte da Galileo il sapere tecnologico ha prodotto di più in cinque secoli di quello che aveva prodotto in millenni.
Ebbene, l’opera di Lutero fu quella di essersi accorto di questa pletora di tradizioni e conseguentemente di voler liberare la Chiesa dalla massa di tradizioni spurie, che si erano accumulate nei secoli, e che stancamente e meccanicamente per non dire superstiziosamente venivano trascinate avanti, appesantendo inutilmente la vita cristiana, e soffocando la Parola di Dio sotto un mucchio di parole umane, per non dire errori veri e propri.
Lutero intese a suo modo recuperare la vera tradizione evangelica, ma trascurò quella apostolica e quindi la funzione del Papa di custode della Tradizione apostolica, la Tradizione che si manifesta negli insegnamenti dei Papi e dei Concili. Pensò che anche questa tradizione fosse spuria e abusiva e comunque fallibile. In che senso Lutero volle recuperare la tradizione? Egli la concepì ancora alla maniera medioevale come tradere e traditumorale: la predicazione viva della Parola. Tuttavia per lui la sola fonte dellaRivelazione, come è noto, e la sola Scriptura, niente Tradizione apostolica e quindi pontificia.
Occorre aspettare pertanto il Concilio Vaticano II (Dei Verbum,8) per avere una definizione dogmatica di quella che è la Sacra Tradizione come fonte insieme con la Scrittura, della divina Rivelazione, Tradizione e Scrittura a loro volta affidate da Cristo all’interpretazione del Magistero Pontificio ed apostolico.
5. E, da cultore della Summa, mi permetto di aggiungere alle auctoritates tommasiane l’eucologia classica, che di quando in quando affiora soprattutto nei sed contra: per Tommaso la fede pregata ab immemorabile è luogo teologico.
Risposta. Non c’è dubbio.
6. E, non ho controllato, ma non mi sorprenderebbe che tante di quelle orazioni che Tommaso usa come argomenti siano cadute sotto la mannaia empia dei riformatori, dato che in quell’aborto di un Messale (per dirla uno degli autori della riforma, Bouyer) sopravvive inalterato solo il 13% dell’eucologia del Rito Romano autentico.
Risposta. Parliamo con rispetto del Messale di S.Paolo VI. Esso contiene la Parola di Dio e la Tradizione allo stesso modo del Messale di S.Pio V o dei Messali precedenti. Avverto che il Rito Romano autentico, ossia l’essenza della Messa, resterà integralmente fino alla fine del mondo. Semmai nel novus ordo, ammesso che sia vero, resterà il 13% del Rito Romano antico. Non confondiamo l’autentico con l’antico. Il primo è insopprimibile e inabrogabile; il secondo può contenere parti caduche.
Ma anche i riti abbandonati, come per esempio il vetus ordo, non per questo non aboliti, come ha fatto presente Benedetto XVI nel Summorum Pontificum, ma sono religiosamente conservati nel tesoro dei riti precedenti. Così come a nessuno è proibito celebrare nel vetus ordo, (il Traditionis custodes regola, non abolisce la celebrazione del vetus ordo), a nessuno è proibito celebrare in un rito precedente a quello di S.Pio V, purchè a suo tempo fosse stato approvato dalla S.Sede. Similmente, come oggi si viaggia normalmente con le auto del 2022, a nessuno è proibito viaggiare con un’auto del 1970 o del 1930, purchè conforme alle attuali norme della circolazione automobilistica.
7. Ma poi, a mettere quantomeno in dubbio la legittimità o cogenza di questa “ermeneutica presentista”, sta tutta una riflessione teologica elaborata particolarmente da S. John Henry Newman, che riconosce il ruolo del laicato, anche e soprattutto in tempo di crisi, rispetto a un magistero – vescovile o papale – deviato o mondanizzato (Newman: [durante la Crisi Ariana] “il divino dogma della divinità di Nostro Signore fu proclamato, inculcato, mantenuto e (umanamente parlando) preservato molto più dalla Ecclesia docta che dalla Ecclesia docens” ).
Riflessione fatta propria anche da organi para-magisteriali, come nel documento della Commissione Teologica Internazionale del 2014 sul Sensus Fidei nella Vita della Chiesa:
63. Avvertiti dal proprio sensus fidei, i singoli credenti possono giungere a rifiutare l’assenso a un insegnamento dei propri legittimi pastori se non riconoscono in tale insegnamento la voce di Cristo, il buon Pastore. «Le pecore lo seguono [il buon Pastore] perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei» (Gv 10,4-5). Per san Tommaso un credente, anche privo di competenza teologica, può e anzi deve resistere in virtù del sensus fidei al suo vescovo se questo predica cose eterodosse. In tal caso il credente non innalza se stesso a criterio ultimo della verità di fede: al contrario, di fronte a una predicazione materialmente «autorizzata» ma che lo turba, senza che ne possa spiegare esattamente la ragione, egli differisce il proprio assenso e si appella interiormente all’autorità superiore della Chiesa universale.
(allora lo vede il Padre che non siamo proprio fermi alla manualistica di epoca pacelliana?)
Risposta. Ma quello che Lei dice, che è molto giusto, vale oggi come valeva ai tempi di Pio XII, perché si tratta di cose che toccano l’essenza immutabile della Chiesa e in essa il ruolo del laicato. E la citazione del Vangelo è più che pertinente. Ma a un patto; che si lasci fuori il Papa, perché egli è l’unico fedele che da Cristo ha il compito di confermare nella fede tutti gli altri. Per questo tutti possono perdere la fede o cadere nell’eresia, dal Segretario di Stato al Decano del Sacro Collegio, al Prefetto della CDF in giù. Un Papa, invece, può peccare contro tutte le virtù, ma non contro la fede.
Gentile e Reverendo Padre,
Anzitutto mi preme di ringraziarla per la considerazione che ha voluto dare alle mie riflessioni, che sono quelle di un amatore delle scienze teologiche, ma non certo di un “professionista” come lei. Non voglio - né credo di avere gli strumenti per - entrare in polemica con lei. I miei vogliono essere più che altro degli spunti per un approfondimento del discorso, perché questo non si areni su argomenti o categorie che ormai non sono più in grado di descrivere la complessità del reale.
Ad esempio, la stessa “contrapposizione fra modernisti e passatisti”, che lei riprende nella sua cortese risposta, è, temo, ormai vecchia:
sia perché il modernismo ormai è sfaccettato in migliaia di correnti (molte spesso a fatica riconoscibili come cristiane, figuriamoci cattoliche);
sia perché il tradizionalismo, nato con afflato prevalentemente liturgico (ma la FSSPX ci tiene spesso a ribadire che la sua opposizione fu anzitutto teologica – tanto che per qualche breve anno continuò ad utilizzare il rito mutilato del 1965-69), è oggi a sua volta fenomeno estraneamente frammentario – e il presente pontificato ha certamente catalizzato il processo – andando da veri e propri passatismi di maniera (come quelli verso i quali mi sembrano effettivamente dirigersi diverse sue critiche – con non poche ragioni) a parossismi millenaristici (alimentati dalla situazione che da due anni paralizza il mondo e troppo spesso le menti). Ne parlava in termini più diffusi lo stesso maestro Porfiri qualche tempo fa’:
https://aurelioporfiri.substack.com/p/il-tradizionalismo-dopo-il-vaticano
Per questo insistere su questa contrapposizione – che ha senz’altro avuto la sua rilevanza storica, in passato – mi pare oggi sforzo sterile e infruttuoso, anacronistico. È un parlare senza un reale interlocutore; o un rivolgersi ad un singolo interlocutore quando in realtà si ha davanti una folla sterminata ed eterogenea: i toni, e i contenuti, non possono non essere diversi.
In questo mare magnum del “tradizionalismo”, o dei tradizionalismi, si trovano anche delle correnti molto più sane ed equilibrate, nelle quali si stanno serenamente articolando serie riflessioni sulle radici profonde dei mali che affliggono la Chiesa visibile: tra gli altri, un sentimento ultramontanista esagerato e deviato (qualcuno lo ha definito lo “spirito – o falso spirito – del Concilio Vaticano I”) e un conseguente esercizio dispotico ed esorbitante del potere petrino (non certo prerogativa dei soli papi post-conciliari).
Permetta anche a me di rispondere alle sue osservazioni per interlinea.